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La Cecoslovacchia al tempo del socialismo reale. Regime, dissenso, esilio

Francesco Caccamo
Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 263 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume di Francesco Caccamo raccoglie otto saggi pubblicati nel corso degli anni tra l’Italia e l’estero e un articolo inedito dedicato all’analisi dell’instaurazione del regime comunista in Cecoslovacchia da parte della diplomazia italiana. Non è la prima volta che uno studioso decide di riunire in un volume contributi sparsi in altre pubblicazioni. Non sempre operazioni del genere sono coronate da successo, più spesso, anzi, paiono problematiche, estemporanee senza un reale retroterra scientifico. Al contrario questo volume appare riuscito: i vari saggi, basati in gran parte sullo spoglio di fonti archivistiche di prima mano e sempre su un confronto con la migliore storiografia ceca, slovacca e internazionale di riferimento, si legano armonicamente l’uno con l’altro, anche grazie a una certa attività di raccordo e «ricucitura» che fa superare all’opera i limiti propri di raccolte di questo genere.
Il risultato è un interessante percorso attraverso il lungo inverno dell’esperienza comunista cecoslovacca, quella cioè di un paese tradito due volte: la prima nel 1938 dall’appeasement delle potenze democratiche e la seconda, nel 1945, dai «liberatori» sovietici. Sia attraverso gli occhi dei diplomatici italiani, come per mezzo dello spoglio di carte degli archivi praghesi, l’a. mostra bene l’intima natura stalinista del regime instauratosi in Cecoslovacchia e la sua totale incompatibilità con ogni minimo spazio di confronto con altre forze e/o istanze. Di fatto il 1956 fu solo una destalinizzazione di facciata. Eppure era difficile anche per un potere totalitario e spietato come quello cecoslovacco soffocare del tutto gli impulsi, gli aneliti, le istanze della società civile che restava, tutto sommato, ancora la più vivace tra quelle dell’Est d’Europa, tanto più stimolata dai disastri dell’economia pianificata di marca sovietica e dagli impulsi che, nonostante tutto, le aperture chruščëviane avevano suscitato anche all’interno dei settori meno retrivi del Partito come puntualizzato in diverse parti del libro.
L’a. aiuta a comprendere appieno le sollecitazioni più vere che investirono parti importanti della società cecoslovacca e che raccordate dal gruppo dirigente nel quale emerse la personalità di Dubček diedero avvio alla Primavera di Praga: l’unico tentativo di riforma del sistema mai messo in atto nel campo socialista e inevitabilmente schiacciato dalla reazione sovietica. A Mosca avevano compreso che lo sbocco unico possibile di quel movimento sarebbe stata la fine dei regimi del socialismo reale e la progressiva nascita di un sistema democratico. Questo fu l’obiettivo di un altro luminoso protagonista del libro, il drammaturgo Václav Havel, nemico implacabile del totalitarismo comunista e padre della democrazia cecoslovacca. Ma anch’egli, se vogliamo, fu uno sconfitto come dimostrò nel 1993 la divisione – fortunatamente pacifica e civile – del paese di cui fu protagonista quel Vladimir Meciar capostipite di una generazione di politici populisti che paiono dominare la scena centroeuropea nell’odierna complessa fase vissuta dall’Ue.

Alberto Basciani