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La città dell’acciaio. Due secoli di storia operaia

Alessandro Portelli
Roma, Donzelli, 449 pp., € 32,00

Anno di pubblicazione: 2017

Il volume è una nuova edizione dei lavori dedicati alla cultura operaia di Terni: Biografia di una città (Einaudi 1985) e Acciai speciali (Donzelli 2008). Nel primo, apparso nel decennio più innovativo della storia orale, le memorie accompagnavano il farsi dell’identità di classe dal Risorgimento al secondo dopoguerra, da una società rurale a una industriale. Nel secondo prevaleva un approccio retrospettivo, con al centro le profonde trasformazioni – e le persistenze – della cultura operaia a ridosso degli anni ’90, all’epoca della vendita della fabbrica alla multinazionale Thyssen Krupp. Qui l’a. ha aggiunto alcune pagine sugli sviluppi più recenti, che prefigurano per Terni una complessa transizione postindustriale tra gli ultimi sussulti della sua conflittualità.
Il valore aggiunto della riedizione sta nella possibilità di cogliere l’originalità di uno stile che ha reso l’a. un maestro dell’oralistica italiana. Nel suo lavoro la storia orale si eleva a pratica autonoma e non al servizio della storiografia, traendo tutte le conseguenze dalla concezione della memoria «non come magazzino di fatti ma come matrice di significati» (p. 17). La prima è la centralità della dimensione linguistica e dialogica. L’obiettivo della ricerca non è l’accertamento di una verità storica – «non tutto quello che si racconta in questo libro è vero; ma tutto è stato veramente raccontato» (p. 16) – bensì la comprensione dall’interno, tramite la narrazione, di una cultura inestricabilmente di classe e di luogo (la «ternitudine»). Gli intervistati non sono mai «fonti», ma personaggi, narratori archetipici, coautori. La seconda conseguenza investe il lavoro dello storico, che procede come un regista senza sceneggiatura e come un attore del proprio film, con un’impostazione metastorica in cui le scelte di metodo sono condivise con il lettore.
Le strategie della narrazione sono la via di accesso a elementi strutturali della mentalità degli operai, ad esempio l’ucronia («variante temporale dell’utopia, […] afferma che un passato diverso sarebbe stato possibile, per poter continuare a credere nella possibilità di un diverso futuro», p. 17) o il sublime operaio («l’intreccio di fascino e terrore […] suscitato dal rapporto con un’entità che è, infine, prodotto di intelligenza e lavoro umani», p. 436). Ed è nella lingua, più che nelle pratiche, che l’a. rinviene i segni di esaurimento di una cultura collettiva forgiata dalla vita di fabbrica e dalla trasmissione di esperienze sociali e politiche. Sullo sfondo c’è la globalizzazione, con la condizione operaia che si sposta in India, Brasile, Sudafrica, dove lo storico immersivo non è più in grado di ascoltarla.
Questa edizione costituisce un monumento alla storiografia dell’a., ma anche l’occasione per sottolineare un limite delle sue scelte di montaggio. Il lettore si smarrisce nella polifonia di voci che diventano significanti grazie alla «traduzione», e non solo alla «trascrizione», dello storico-regista. Una maggiore proporzione tra gli stralci di intervista e i raccordi interpretativi – ulteriormente tagliati rispetto alle prime versioni – avrebbe reso il volume più leggibile ed efficace.

Gilda Zazzara