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La cultura metropolitana e il mito di legittimazione dell’Impero britannico (1858-1947)

Teodoro Tagliaferri
Napoli, Giannini, 160 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il volume rielabora e approfondisce gli studi che Tagliaferri ha dedicato all’ideologia
dell’imperialismo britannico, in particolare all’apporto della corrente dell’imperialismo
liberale nel plasmare una «cultura dell’impero» che fornisse le basi della legittimazione
politica e religiosa dell’autorità coloniale. Quale immagine dell’impero e della loro «missione
» concepirono e cercarono di diffondere gli inglesi? Come conciliarono il potere
coloniale con la duplice sfida dell’emergere dei nazionalismi e della democratizzazione
delle istituzioni politiche interne? A queste domande chiave l’a. cerca di rispondere utilizzando
una grande varietà di fonti e un approccio innovativo che fonde storia politica,
storia culturale e storia religiosa.
Compresa tra la legge del 1858 che attribuì a Londra il pieno controllo sull’India e
la sua indipendenza nel 1947, l’analisi rileva come, nella fase cruciale del consolidamento
della democrazia inglese dopo la riforma elettorale del 1867, le questioni coloniali si rivelarono
«tra le più controverse, tra le più ostinatamente refrattarie a lasciarsi incanalare
dentro il placido alveo del national consensus» (p. 25). Se ciò fu possibile, lo si dovette
innanzitutto al nuovo ruolo della Corona che, dismessi i poteri politici effettivi, assunse
la funzione iconica di centro unificante della nazione e sempre più anche di simbolo del
«destino imperiale» della Gran Bretagna. Ma fu soprattutto la nuova versione dell’imperialismo
liberale a creare un discorso legittimante attorno al potere imperiale; abbandonata
la retorica vittoriana della Greater Britain, i liberali cominciarono a presentare
il Commonwealth of Nations come un «modello esemplare di riconciliazione tra libertà
nazionale e solidarietà internazionale» (p. 52), ove la Britishness avrebbe costituito una
forza coesiva di natura «ideale, etica, emozionale» capace anche di disporre di «un’efficacia
politica ben reale» (p. 53).
Attraverso la retorica del progressive self-government e attingendo all’immaginario del
finalismo storico e del cristianesimo immanentista, i liberali fecero del mito imperialista il
suggello di «una grande narrazione della storia universale d’impianto finalistico e cosmopolitico
», dove alla Gran Bretagna spettava di «dare ordine al mondo nella forma di una
singola comunità […] internazionale di uomini e di popoli liberi instaurante la “pace universale”
» (p. 90). Una narrazione dove fu decisivo il retaggio del millenarismo protestante
e delle correnti del protestantesimo liberale che già nell’800 tendevano a interpretare in
termini religiosi e provvidenziali la «missione» globale della nazione inglese. Tagliaferri
fa quindi dialogare abilmente i molti elementi che interagirono nella legittimazione e
nell’immaginazione pubblica del sistema imperiale: la cultura liberale e l’ethos cristiano,
il patriottismo costituzionale e quello pananglicano, l’utopia della «pace universale» e la
vocazione messianica dei britannici, l’orientalismo liberale e il mito della Land of Hope
and Glory.

 Giulia Guazzaloca