Cerca

La democrazia del talk show. Storia di un genere che ha cambiato la televisione, la politica, l’Italia

Edoardo Novelli
Roma, Carocci, 251 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il volume ripercorre la storia del talk show politico dai suoi esordi con Tribuna
elettorale sino alle sue formule più recenti (Via con me, Porta a Porta, Servizio Pubblico),
analizzando come esso abbia condizionato la scena politica attraverso i suoi contenuti,
la sua logica e i suoi linguaggi. In questa ricostruzione, effettuata incrociando ricerca
d’archivio e dati quantitativi (percentuali d’ascolto, presenze dei politici, ecc.), emerge la
storia di una progressiva cessione di sovranità della politica rispetto al piccolo schermo e
ai suoi codici.
Una svolta importante in questo percorso è costituita dal programma Bontà loro di
Maurizio Costanzo (1976, subito dopo la riforma della Rai) e dall’irruzione della tv commerciale
a partire dagli anni ’80. È in questo frangente che la politica inizia a essere condizionata
in misura crescente dalle logiche della personalizzazione e dell’intrattenimento. La
possibilità per i politici di intervenire in tv in vesti informali risponde in questo contesto
alla necessità di trovare nuove forme e nuovi canali di comunicazione, affievolitisi quelli
tradizionali dell’ideologia e della militanza. Ma, a fronte di una crisi irreversibile del sistema
dei partiti, gli anni ’80 rappresentano invece per la televisione un decennio di grande
sviluppo, non solo quantitativo ma anche in termini di formule e linguaggi introdotti da
conduttori carismatici in trasmissioni innovative.
E qui l’a. ripercorre la grande stagione del talk: Santoro fa di Samarcanda una «piazza
televisiva», Lerner a Milano, Italia racconta l’ascesa della Lega, mentre l’istrionico Funari
in Aboccaperta e Mezzogiorno è… spinge i politici a interloquire col pubblico attraverso
un registro popolare. Qualche riga sarebbe forse potuta essere dedicata a Giuliano Ferrara
che, a Linea rovente, toga indosso, processava la classe politica. La tv, a dimostrazione della
sua crescente forza e autonomia, è ormai capace di trattare senza più timori reverenziali
con i politici che, dopo avere gestito con spirito padronale il piccolo schermo, diventano
progressivamente imputati (si pensi alla trasmissione in diretta dei processi di Tangentopoli).
All’alba degli anni ’90 i tratti fondamentali che avrebbero caratterizzato la «telepolitica
» della Seconda Repubblica sono già tutti sul tavolo: spettacolarità, emotività e semplificazione.
E l’a. illustra bene come negli ultimi anni il proliferare di talk politici sempre
più piegati ai canoni dell’intrattenimento abbia favorito la messa in scena di un’arena
pubblica orizzontale «molto sintonica alla moderna filosofia della rete, insofferente a ogni
idea di gerarchia, rappresentanza, filtro, se non, ovviamente, quello esercitato dalla televisione
stessa» (p. 17). Dietro l’itinerario di questo genere televisivo, nato nel pieno della
«Repubblica dei partiti» e sviluppatosi nel corso di mezzo secolo di televisione sino alle
sue formule attuali ampiamente ibridate con la rete, lo storico vede così stagliarsi anzitutto
una irreversibile perdita di sacralità della politica sull’altare dello spettacolo.

 Riccardo Brizzi