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La guerra d’Etiopia (1935-1941)

Nicola Labanca
Bologna, il Mulino, 271 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2015

Dopo la monografia del 2012 La guerra italiana per la Libia (1911-1931), Nicola
Labanca offre una sintesi della guerra contro l’Etiopia, che diventa anche l’occasione per
una sistemazione critica e una definizione dello stato dei problemi storiografici e dei
vuoti documentari ancora aperti. L’iscrizione nel titolo della data 1935-1941 è già decisa
scelta storiografica che, come l’a. aveva fatto per la Libia, estende la durata, solitamente
racchiusa tra il 1935 e il maggio 1936, perché ingloba la guerriglia e controguerriglia e le
ripercussioni internazionali, sottolineandone il carattere di «evento globale».
Dopo il capitolo dedicato alla preparazione diplomatica e ideologica, i capitoli III,
IV, V trattano la storia militare, evidenziando la fenomenologia di una guerra coloniale,
cui il fascismo imprime una specificità che l’a. individua in sei caratteri, mentre il capitolo
VI è dedicato all’impianto dell’Impero. L’a. invita a una storia sociale della società coloniale,
che non si esaurisca nei crimini di guerra e nell’esercizio della violenza, e a comporre
una storia complessiva dell’amministrazione coloniale, come parte essenziale della storia
dello Stato metropolitano.
Tutto il libro è percorso dal richiamo costante a superare la parzialità di una storia
dei «vincitori» a favore di una «storia transnazionale», con un approccio comparativo e
con l’integrazione delle storie degli studiosi africanisti. Gli storici etiopici hanno lavorato
sia sui documenti ufficiali e archivistici in amarico sia per la raccolta di memorie orali
dell’élite e degli strati subalterni, attente alle particolarità delle diverse regioni e dei diversi
gruppi. La ricerca va incrementata anche dal lato libico e somalo, dato il loro pur
differenziato coinvolgimento nel reclutamento, nella logistica, nell’economia di guerra,
nel fronte bellico. Sul piano della storia militare ci sono ancora vuoti da colmare, specie
sulle operazioni di «polizia coloniale» e le reazioni dei colonizzati tra il 1936 e il 1940, che
sfociano senza soluzione di continuità negli eventi bellici immediatamente successivi.
Se un appunto si può fare alla eccellente sintesi, penso che più ampio spazio avrebbe
dovuto avere l’aspetto economico – anche se viene sottolineato il destabilizzante sforzo
finanziario del Tesoro italiano nella guerra – con un più deciso richiamo al ruolo delle
imprese italiane e almeno un accenno ai tentativi di interpretazione economica dell’imperialismo
fascista.
L’ultimo capitolo è sulle eredità della guerra e sulla gestione ufficiale e sul controllo
continuista della sua memoria, sempre più contestato e infine spezzato e decostruito
dagli studi successivi. Opportuno qui da parte dell’a. il richiamo critico ed equilibrato
all’apporto degli studi postcoloniali che soprattutto sugli ibridismi del potere, le relazioni
nel dominio tra sessualità e razza, l’educazione e la propaganda, hanno dato un apporto
storiografico, ma che spesso non hanno saputo interagire con la storiografia contemporaneista
e africanista, mostrandosi talvolta refrattari al rigoroso lavoro d’archivio.

 Gianni Dore