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La guerra è finita. L’Italia e l’uscita dal terrorismo 1980-1987

Monica Galfré
Roma-Bari, Laterza, XV-254 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2014

Nel 1981 in un processo a Prima Linea per duplice omicidio comparve la figura del dissociato. Fu condannato all’ergastolo perché, pur distaccandosi dalla lotta armata, non aveva coinvolto altri, mentre l’esecutore materiale fu condannato a 13 anni avendo fornito nomi e indirizzi. Quella sentenza fece discutere e si inserì in un dibattito sull’uscita dalla stagione dell’emergenza che l’a. mostra essere nato a cavallo tra anni ’70 e ’80, il momento di scontro più feroce tra le organizzazioni terroriste e le istituzioni, dentro e fuori delle carceri. Qui Galfré ricostruisce l’articolato dibattito sugli strumenti per uscire dalla stagione del terrorismo e dell’emergenza, fermandosi al 1987, anno della legge sulla dissociazione, ma anche momento in cui l’esito del referendum del 1986 si stava traducendo in una normativa sulla responsabilità civile dei magistrati. Mossa dalla convinzione che la ricostruzione della fase finale della stagione del terrorismo serva «più di un approccio diretto – a comprendere la natura del fenomeno, il suo impatto e il suo intreccio con la storia italiana» (p. XI), l’a. affianca alle fonti consuete – stampa, memorialistica, atti parlamentari – materiali originali provenienti dagli archivi personali di alcuni protagonisti di quel confronto: dal giudice Mauro Palma a Bianca Guidetti Serra per arrivare a Ernesto Balducci e Mario Gozzini, protagonisti delle proposte politiche e giuridiche per uscire dall’emergenza.
I sei capitoli ordinati cronologicamente seguono ex terroristi, magistrati, politici, uomini di Chiesa e solo marginalmente vittime confrontarsi non solo sulla semantica politica della lotta armata e sulle sue radici, ma anche su questioni che andavano oltre lo specifico dell’emergenza terrorismo: lo stato delle carceri, il significato della pena, i problemi cronici dell’amministrazione della giustizia e soprattutto la necessaria ridefinizione del rapporto tra magistratura e istituzioni dello Stato successiva alla critica della condizione emergenziale. La puntuale ricostruzione di tale dibattito mostra quanto esso fosse segnato da parole e categorie di matrice religiosa – pentimento, riconciliazione, confessione, perdono – che portavano a sovrapporre in maniera non di rado ambigua la dimensione privata e personale della coscienza e della morale individuale alla dimensione pubblica della responsabilità individuale, del suo accertamento e della gestione dell’ordine pubblico. Il volume racconta come nel rapporto concreto con le donne e gli uomini in carcere e nella discussione pubblica l’iniziativa fosse promossa quasi solo da preti, suore e figure politiche e culturali di area cattolica, mentre le culture laiche e istituzionali faticavano a trovare parole e criteri con cui affrontare la chiusura di quella stagione. Mentre l’a. privilegia il carattere politico e culturale di questo dibattito, si può osservare che rimane sullo sfondo la dimensione propriamente giuridica delle soluzioni ipotizzate e adottate, come il suo carattere storico, il che lascia aperto l’interrogativo su quanto esse fossero una peculiarità italiana prima, e una specificità di quel decennio poi.

Emmanuel Betta