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La guerra fredda. Storia di un mondo in bilico

John L. Harper
il Mulino, 383 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il volume racconta e discute in modo sintetico le origini, gli snodi principali e la conclusione del «confronto per la supremazia», svoltosi tra il 1945 e il 1989, tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, due entità statuali che si consideravano guide di «due sistemi politici e sociali antagonisti» e che si trovarono in competizione per il «controllo fisico di luoghi considerati vitali» per entrambe (p. 7). L’a. presta molta attenzione alle concezioni di lungo periodo in politica estera e alle idee dei principali statisti che guidarono le due superpotenze. Tanto nelle prime quanto nelle seconde, pone in rilievo evidenti elementi di simmetria tra Mosca e Washington («fatalismo hobbesiano», «geni messianici», ruolo dei rispettivi «complessi industriali-militari», ecc.), sulla base però di una chiara presa di posizione rispetto all’asimmetria sostanziale di un conflitto che vide gli Stati Uniti in netta posizione di forza dall’inizio alla fine. Al termine di dieci capitoli densi ma agili, il volume pone una serie di punti fermi: furono essenzialmente cause «strutturali» (incluse le consolidate culture di politica estera ricordate sopra) a determinare l’avvio della rivalità tra le superpotenze, ma fu il gioco delle percezioni reciproche a plasmarne le forme e, per certi versi, la durata. Fu poi, in buona parte, l’inquietante presenza sulla scena delle armi nucleari a impedire una guerra aperta tra le due superpotenze e a imporre ripetuti tentativi di raggiungere accordi che impedissero una catastrofica fine dell’umanità. Gli snodi cruciali si determinarono dapprima nel cosiddetto «mondo in via di sviluppo»: ben più importante della sconfitta maturata in Vietnam a metà degli anni ’70, una netta svolta dei rapporti di forza a favore degli Stati Uniti si era già verificata nel 1964-1965, quando «tre paesi grandi, ricchi e strategicamente importanti passarono contemporaneamente al campo occidentale: il Brasile, l’Indonesia e il Congo» (p. 287). Consolidata dalla «semi-alleanza» statunitense con la Cina negli anni ’70, tale posizione di forza sarebbe emersa quasi naturalmente nella seconda metà degli anni ’80, quando un misto di declino economico e cambiamenti ideologici determinarono la revisione gorbacheviana della politica estera di Mosca e, involontariamente, la crisi irreversibile della stessa Unione Sovietica. I pregi principali del volume sono la chiarezza espositiva e la capacità di sintesi, unite a un argomentato scetticismo sulla superiorità morale dei vincitori di un conflitto prolungato, costato milioni di vittime in numerosi teatri e cifre «iperboliche» in termini economici. Meno felice appare invece la scelta di non confrontarsi direttamente con il dibattito storiografico sulle origini della guerra fredda (che pure è richiamato in una decina di pagine). Infine, fanno capolino ma restano in ombra i temi che più hanno contribuito, in anni recenti, a restituire una concezione più complessa della guerra fredda: dal protagonismo degli attori «minori» alla «guerra fredda culturale», alle trasformazioni del capitalismo.

Duccio Basosi