Cerca

La Lega democratica. Dalla Democrazia cristiana all’Ulivo: una nuova classe dirigente cattolica

Lorenzo Biondi
Roma, Viella, 364 pp., € 33,00

Anno di pubblicazione: 2013

La tesi fondamentale di questo libro è ben espressa nel titolo. Biondi ha voluto dimostrare come un ruolo cruciale nella formazione della classe dirigente che ha definito il progetto politico dell’Ulivo lo abbia giocato «un piccolo gruppo di intellettuali e sindacalisti cattolici che aspira[va] a diventare movimento di opinione» (p. 11) e che si era costituito con il nome, evocativo, di Lega democratica. Un intento che risponde alla domanda che l’a. pone nell’introduzione, ovvero se la storia della Lega debba considerarsi una «storia minore». Lo è senz’altro se si considera la dimensione quantitativa degli iscritti, dei simpatizzanti e del consenso, nonché la durata limitata di questa esperienza (1975-1987). Il discorso cambia, ovviamente, se la prospettiva è invece quella dell’analisi della cultura politica espressa dal gruppo. Sostanzialmente, per due motivi: perché la ragione fondante la Lega è un rinnovamento della presenza e della qualità del cattolicesimo politico italiano (e quindi di quel mondo che esprime dal secondo dopoguerra il partito cardine del sistema politico nazionale); perché lo strumento di tale rinnovamento passa attraverso la circolazione di nuove idee, di nuovi approcci ad una società di massa in rapida trasformazione e non solo attraverso il cambiamento delle leadership di partito. Su questo piano va cercato senz’altro il contributo più significativo della Lega ma anche la manifestazione evidente della sua eterogeneità. Molte sono le personalità che l’a. richiama (da Roberto Ruffilli a Paolo Giuntella, da Piero Bassetti a Ermanno Gorrieri), ma le figure che incarnano i due macro-orientamenti del gruppo restano Pietro Scoppola e Achille Ardigò. La questione dirimente tra le due visioni è soprattutto quella relativa al rapporto con la Dc. Se e in quale misura il Partito sia rinnovabile (sia durante che dopo l’esperienza della segretaria di Zaccagnini) ma, ancor più, se e in quale misura lo strumento partito così come si è definito nella storia del ’900 sia o meno ancora funzionale ed utile: questo il nodo attorno al quale maturano approcci diversi. La convinzione di Scoppola della necessità dei partiti e di poter operare all’interno della Dc, rinnovandola, lo spinge a una partecipazione attiva sino alla candidatura in Parlamento. Un’esperienza che, tuttavia, giudicherà egli stesso fallimentare. Il paradosso apparente è che proprio l’allentamento dei rapporti con la Dc rappresenta il punto più basso e di minore influenza della Lega.
L’a. racconta con abilità una storia minuziosa, partendo dal tornante decisivo del referendum sul divorzio, fatta di condivisioni e contrasti (sorprende, ad esempio, la vivacità del rapporto con Comunione e Liberazione, non sempre oppositivo), di profonde rivisitazioni del patrimonio cattolico democratico che dal confronto tra postdossettismo e postdegasperismo (categorie che meriterebbero molte precisazioni) arriva al superamento del progetto maritainiano e montiniano della nuova cristianità e alla elaborazione di una sottile e sofisticata «cultura della complessità».

Paolo Acanfora