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La periferia del partito. La Dc trentina negli anni del centro-sinistra (1955-1968)

Giovanni Agostini
Milano, Le Monnier, 296 pp., € 22,50

Anno di pubblicazione: 2016

Il volume – approfondimento di una tesi di dottorato in «Politica, istituzioni e storia» dell’Università di Bologna – è organizzato in quattro capitoli che ripercorrono l’intreccio della vicenda della Dc trentina con quella del partito a livello nazionale scandito secondo i tempi delle tre legislature regionali del Trentino-Alto Adige tra la metà degli anni ’50 e il 1968. Si tratta di una stagione che vede il panorama regionale mutare col passaggio da una realtà prevalentemente legata alle attività agricole all’approdo allo sviluppo dell’industria e del terziario.
Il partito trentino che ha espresso personalità di statura nazionale – basti pensare a De Gasperi, Piccoli e Andreatta, pur nelle loro differenze – ha una serie di particolarità che lo distinguono, nel periodo analizzato, da quello nazionale. È un partito ampiamente egemone (regolarmente tra il 60 e il 68 per cento dei voti a livello provinciale), fortemente identitario, erede di una compattezza e rappresentatività maturata all’interno del movimento cattolico locale in tensione con le dinamiche politiche dell’Impero asburgico. Non è un caso che l’archivio della Dc regionale del Trentino-Alto Adige e del partito a livello provinciale di Trento e Bolzano sia custodito presso l’Archivio diocesano trentino.
È un partito periferico e di confine che fa i conti con le particolarità del suo territorio e che tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 attua una politica riformatrice pragmatica a livello regionale in un quadro politico in cui il rapporto dialettico significativo è con la Südtiroler Volkspartei (Svp). La progressiva riduzione di competenze della Regione a vantaggio delle Province autonome di Trento e Bolzano ne sono il risultato. Il Psi a livello regionale è il terzo partito, ed è il maggiore della sinistra, mentre il Pci arranca. Quando il partito nazionale avvia la collaborazione coi socialisti, quella intesa a livello provinciale non risulta necessaria, e sarà implementata solo per la parentesi dal 1964 al 1968. L’a. scrive: «Al contrario di quanto avviene a livello nazionale, dove il centrosinistra implode per l’impossibilità di realizzare quella politica riformatrice per cui era nato, a Trento il centrosinistra sfuma perché è giunto al potere quando la politica riformatrice è già stata sostanzialmente realizzata» (p. 216).
Il partito nel periodo del postConcilio perde il contatto col retroterra giovanile delle organizzazioni cattoliche, e la Facoltà di Sociologia di Trento – la prima in Italia – diviene l’avanguardia della contestazione. La Dc trentina vede incrinare la sua compattezza alla fine degli anni ’60 col graduale nazionalizzarsi delle sue dinamiche interne. Flaminio Piccoli, coi dorotei, ascende alla vicesegreteria del partito nazionale con Rumor nel 1964, e diviene segretario nazionale nel 1969; Bruno Kessler, presidente della Provincia autonoma di Trento dal 1960 al 1974, viene ascritto al gruppo dei morotei e progressivamente ridotto in minoranza. La peculiarità trentina va in crisi col superamento dello schema, pur semplificato, della formula «Kessler a Trento e Piccoli a Roma».

Augusto D’Angelo