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La prima impresa industriale di Camillo Olivetti e il paradigma olivettiano

Carlo G. Lacaita, Marco Vitale
Milano, Piccola Biblioteca d’Impresa Inaz, 146 pp., € 10,00

Anno di pubblicazione: 2014

Nel libro viene pubblicata per la prima volta la relazione dalla prima industria oli- vettiana, C.G.S. Società anonima per istrumenti elettrici, già Camillo Olivetti & C. Milano, presentata nel 1913 al concorso d’industria organizzato dal Reale Istituto lombardo di Scienze e Lettere. La commissione giudicatrice conferì allora alla società la «medaglia triennale per l’industria» di L. 500, una cifra considerevole per i tempi. L’impresa rappre¬sentava un’evoluzione della precedente ditta fondata a Ivrea nel 1896 e, nel 1903, trasfe¬rita a Milano di fronte a un aumento della produzione che aveva richiesto l’immissione di nuovi capitali e lo spostamento in una sede più grande, a contatto più diretto con le maggiori industrie elettriche.
Intraprendente ingegnere, allievo di Galileo Ferraris, Camillo non fu solo un im¬prenditore competente dal punto di vista tecnico e attento al contesto internazionale, ma anche un intellettuale che voleva edificare «una società più aperta e dinamica», ostile a «un assetto oligarchico fondato sui privilegi» e fiducioso «nel “progresso” collettivo che l’avanzamento tecnico-scientifico rendeva possibile» (p. 19). Da qui derivarono i suoi rapporti con i maggiori esponenti del socialismo riformista e la sua attenzione per la Fa- bian Society dei Webb. Sensibile al miglioramento delle condizioni dei lavoratori, ridusse i turni troppo lunghi e i cottimi. Già nel 1899, caldeggiò la formazione di un sindacato autonomo che limitasse il peso dei «padroni», trasformandoli da nemici in contraenti. In Camillo «si intrecciarono di continuo principi etici e rigore scientifico, idealità politiche e spirito industriale, in una visione dell’economia e della società profondamente moderna» (p. 20). Dal 1907 progettò la realizzazione della macchina per scrivere, presentando la M. 1 all’esposizione universale di Torino del 1911. Dimessosi da presidente della CGS, nel primo dopoguerra si dedicò completamente alle macchine per scrivere, impegnandosi in politica fino all’affermazione del fascismo totalitario, che coincise con l’ingresso in fabbri¬ca di Adriano. Con le leggi razziali, cedette al figlio la presidenza della società e si dedicò alla lettura della Bibbia, alle sette protestanti e ai movimenti eretici. Dopo l’8 settembre, i figli ripararono in Svizzera e nelle Americhe, Camillo fu ricoverato a Biella e si spense il 4 dicembre 1943.
È evidente il filo rosso che lega l’esperienza di Camillo a quella di Adriano. Anch’egli riuscì a interpretare in modo innovativo il ruolo di imprenditore, come spiegò Beltrami parlando del suo primo contatto con la ditta nel 1949, in una riunione su ricostruzione e democrazia. «Parlava Adriano Olivetti e parlavano gli operai, mi sorprese l’estrema libertà e democrazia con cui tutti interloquivano. Molti avevano fatto solo le elementari, però erano persone intelligenti e lo si capiva dalle cose interessanti che dicevano. Adriano par¬lava come se fosse uno dei tanti: lo interrompevano anche. Non ho mai visto un simile esempio di democrazia […]. Mi sembrava di essere entrato nella città dell’utopia» (p.
130).