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La rinascita della destra. Il laboratorio politico-sindacale napoletano da Salò ad Achille Lauro (1943-1958)

Fabio Gentile
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 249 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2013

Il fascismo era nato in Val Padana, ma la destra italiana, dopo la Liberazione, si riaggregò in primo luogo al Sud. Furono i voti del Mezzogiorno che consentirono ai neofascisti del Msi e ai monarchici del Pnm di entrare a stento in Parlamento nella prima legislatura, con le elezioni politiche del 1948, e poi di affermarsi nettamente alle amministrative del 1952. Senza dubbio feconda è quindi la prospettiva scelta da Fabio Gentile, che ha studiato la ricomposizione di quell’area politica partendo dalla situazione meridionale e in particolare dall’autentico laboratorio che fu all’epoca la città di Napoli, soprattutto per la presenza carismatica dell’armatore e sindaco monarchico Achille Lauro. L’autore sottolinea il contributo notevole che i fascisti partenopei diedero alla Rsi; evidenzia il carattere tendenzialmente reazionario (e di certo assai poco liberale) del movimento qualunquista di Guglielmo Giannini; individua nella visione corporativa del sindacato neofascista Cisnal, che ebbe tra i suoi leader principali il napoletano Giovanni Roberti, un solido punto d’incontro tra nostalgici della Rsi e fedelissimi del re, all’insegna della continuità con l’esperienza paternalista e interclassista del fascismo regime. Interessante è anche la definizione della leadership di Lauro come «cesarismo post-totalitario», cui Gentile giunge analizzando con cura i vari aspetti del sistema di potere costruito dall’intraprendente armatore attraverso l’influenza della sua impresa, il controllo sul quotidiano «Roma» e sulla squadra di calcio del Napoli, il richiamo all’identità partenopea, lo sviluppo edilizio disordinato, la gestione disinvolta dell’amministrazione municipale. Assai discutibile è tuttavia, nonostante le assonanze tra i due personaggi già notate da Salvatore Lupo nel saggio Partito e antipartito (Donzelli, 2004), presentare Lauro come un «precursore» di Silvio Berlusconi, leader di ben altra presa e modernità che ha egemonizzato il centrodestra a livello nazionale in una società trasformata a fondo dal boom economico e grazie al vuoto politico enorme (impensabile negli anni ’50) causato da Tangentopoli. Inoltre Lauro, al contrario di quanto scrive Gentile, non fu per nulla (diversamente da Berlusconi) un assemblatore degli anticomunisti, né lavorò realmente al progetto di «un polo moderato-conservatore alternativo al centrismo democristiano» (p. 23). Lungi dall’unire intorno a sé una «grande destra», l’armatore divise gli stessi monarchici, provocando nel 1954 la scissione del Pnm e creando una sua formazione personale, il Partito monarchico popolare, che aumentò la frammentazione dell’area conservatrice senza trovare agganci con la Dc (anzi il governo nel 1957 spodestò Lauro da sindaco per via di irregolarità amministrative) e neppure con il Pli, che pure con Giovanni Malagodi si era collocato su posizioni più moderate. Del resto al centro della grossolana ideologia laurina, come rileva Gentile, c’era il «mito della napoletanità» (p. 202), che non poteva certo diventare merce d’esportazione nel resto d’Italia.

Antonio Carioti