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La rivoluzione ungherese del ’56 e l’Italia

András Fejérdy (a cura di)
Soveria Mannelli, Rubbettino, 181 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2017

Sono gli atti di un convegno organizzato dall’Accademia di Ungheria a Roma e dall’Ambasciata ungherese in occasione del 60° anniversario della Rivoluzione del 1956, un avvenimento la cui interpretazione, come spiega András Fejérdy nella sua Introduzione, a dispetto di una bibliografia ormai assai vasta, è caratterizzata da una sorta di ambivalenza tra chi lo ritiene l’inizio del crollo del sistema comunista (la «Stalingrado morale del bolscevismo mondiale», come fu definita all’epoca) e chi invece lo vede come una conferma del sistema delle sfere di influenza che caratterizzò la guerra fredda. Come spesso accade per gli atti di convegni, i contributi qui raccolti sono di vario interesse e livello, alcuni, nel complesso, decisamente modesti.
Tra i saggi più interessanti vanno invece citati quelli di Gábor Andreides (pp. 21-31) sui profughi ungheresi (dopo la sanguinosa repressione in duecentomila si rifugiarono all’estero: tra questi, circa quattromila giunsero in Italia) di passaggio in Austria, fondato sulle relazioni di Angelo Antonio Fumarola, primo segretario dell’Ambasciata italiana a Vienna; di Andrea Carteny (pp. 35-46) sulle pubblicazioni della casa editrice Einaudi relative ai fatti ungheresi (in particolare su Non scrivete il mio nome di Giorgio Chiesura, singolare raccolta, promossa da Italo Calvino, di interviste ai profughi giunti nei campi di accoglienza italiani, edito nella collana dei «Libri bianchi», inaugurata nel gennaio 1957 con un altro libro dedicato alla tragedia ungherese, Qui Budapest, antologia degli articoli del giornalista dell’«Avanti!» Luigi Fossati); di Roberto Ruspanti (pp. 59-70) sulla figura di Sergio Perucchi, inviato a Budapest di «Vie Nuove», rotocalco settimanale del Pci, convintosi che quella ungherese fosse davvero una rivoluzione, ma censurato dal proprio giornale; di Francesco Guida (pp. 100-112) sulle cosiddette «Lettere da Snagov», ossia sugli appunti, pubblicati per la prima volta nel 2004, scritti come autodifesa del suo operato e riflessione sugli eventi del periodo 1953-1956 dal premier deposto, Imre Nagy, durante la prigionia nella località romena, prima di essere impiccato; di Katalin Somlai (pp. 115-130) sul punto di vista della diplomazia italiana, in particolare del capo della Legazione a Budapest Renato Giardini e del suo successore, fino al 1961, Fabrizio Franco. Infine, un saggio dello stesso curatore (pp. 130-141) sugli effetti della Rivoluzione ungherese sulla politica orientale della Santa Sede, dall’irrigidimento di Pio XII alla riapertura del dialogo, alla ricerca di soluzioni di compromesso, con Giovanni XXIII.
Completa il volume l’Appendice curata da László Csorba sul 1956 negli occhi degli artisti ungheresi

Giovanni Scirocco