Cerca

La settimana rossa. 7-14 giugno 1914. La libertà non si vota. Si strappa

Sara Samorì
Cesena, Il Ponte Vecchio, 123 pp., € 12.00

Anno di pubblicazione: 2014

«Sembrava che la rivoluzione in Italia fosse a portata di mano» – scrive ad apertura
del suo volume Sara Samorì – e invece «la Settimana rossa rappresentò, di fatto, l’epilogo
di un’epoca» (p. 7). In apertura, dunque, l’a. esplicita la sua tesi di fondo nell’introdurre
l’analisi delle vicende romagnole in quei lontani giorni del giugno 1914, giorni in cui ad
alcuni dovette certamente sembrare che «l’utopia dell’emancipazione sociale» (p. 7) potesse
avverarsi. E il racconto della fiammata insurrezionale in Romagna è costruito dall’a.
con dovizia di particolari, quasi inseguendone la cronaca giorno per giorno nelle diverse
città: da Imola a Cesena, da Rimini a Faenza, da Ravenna a Forlì, da Lugo ad Alfonsine.
L’a. ricostruisce tutte le fasi dei disordini e il loro propagarsi simultaneamente da un
centro all’altro, con simili modalità e virulenza. Racconta gli assalti a stazioni e treni, gli
scioperi, le devastazioni di uffici pubblici, chiese e municipi, gli scontri con gli uomini
della pubblica sicurezza.
Più frettolosa, invece, la parte introduttiva che l’a. promette in capo al libro, cioè la
necessità di interpretare le vicende della Settimana rossa nel «solco delle forme di protesta
radicale che, soprattutto in Romagna, aveva visto negli anni precedenti momenti di
altissima tensione» (p. 8). Più che sui tumulti che, tra il «decennio sanguinoso» e l’Italia
giolittiana, agitarono anche le piazze romagnole, infatti, l’a. si dilunga sulla crisi aperta
dalla guerra di Libia nei diversi partiti, dai socialisti ai repubblicani ai radicali, relegando
ai margini quelle folle indocili e turbolente che – in Romagna come altrove – furono pur
protagoniste di quella stagione di scioperi, moti e proteste di cui la Settimana rossa rappresentò
uno dei momenti più alti.
Anche il tentativo di inquadrare l’esperienza romagnola nella «geografia della protesta
in Italia» (p. 47) risulta abbastanza frettoloso e forse un po’ inadeguato rispetto alle
aspettative suscitate dal titolo e dall’impianto del volume. I vari casi cui l’a. fa cenno sono
soltanto velocemente passati in rassegna e non ripresi nella loro specificità, forse anche
per la difficoltà che l’a. ha sicuramente incontrato nell’appoggiarsi su studi locali recenti e
aggiornati rispetto a una storiografia che, sebbene a fatica, ha cercato negli ultimi anni di
uscire dalle secche di una storia tutta politica e di rimettere al centro dell’indagine i temi
del conflitto di piazza.
Il volume è arricchito da un corposo repertorio iconografico ma un’ultima perplessità
riguarda una certa spavalderia con cui l’a. usa e cita le sue fonti – carte di polizia,
giornali, diari, ricostruzioni storiografiche – mai supportate da un pur doveroso rimando,
in nota o nel testo che sia.

 Margherita Becchetti