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Laura Guidi (a cura di) – Vivere la guerra. Percorsi biografici e ruoli di genere tra Risorgimento e primo conflitto mondiale – 2007

Laura Guidi (a cura di)
Napoli, Cliopress, 168 pp., Euro 12,00

Anno di pubblicazione: 2007

Il volume raccoglie i contributi di un panel del IV Congresso della Società italiana delle storiche e si colloca nel nuovo panorama di ricerche sulla «costruzione della nazione», sulle figure simboliche che sostengono il discorso nazional-patriottico del Risorgimento e poi, in larga parte, il nazionalismo postunitario. Figure che calcano e risignificano altri simbolismi identitari, in primo luogo quelli di genere. Le ricerche qui proposte indagano il rapporto tra idea di nazione e modelli di genere attraverso il confronto fra esperienze maschili e femminili delle guerre nazionali, tramite cioè l’analisi delle continuità e cesure nelle percezioni e narrazioni dei conflitti risorgimentali e della Grande guerra.In questo contesto, il genere è quindi prettamente una categoria d’analisi utile a svelare l’organizzazione simbolica del potere, come rileva Dianella Gagliani nelle conclusioni. I modelli di genere e i discorsi sulla nazione e la nazione in guerra sono intrecciati e si sostengono a vicenda, attribuendo senso alle stesse esperienze soggettive. Per questo appare parzialmente sfocata, rispetto all’impianto del volume, la domanda che sembra orientare l’Introduzione di Guidi: «si può parlare di una percezione di genere della guerra?» (p. 8). Come dimostrano proprio il suo contributo e alcuni altri – la disparità dei testi è inevitabile in simili pubblicazioni – una volta sfatati gli stereotipi sulla donna naturalmente pacifista e l’uomo naturalmente bellicista, la ricerca verte piuttosto sulla razionalità di quegli stereotipi, sulla funzione che svolgono nel legittimare o trasformare un ordine sociale, quindi sui motivi della loro fissità o mutazione. Il garibaldino e il legittimista (Marco Meriggi) guardano ai ruoli maschili e femminili in guerra sospinti da diverse urgenze: il primo deve suffragare un ordine nazionale che si vuole fondato su un’idea universale di libertà ma in realtà esclude le donne; da qui la pietas verso «l’intera comunità di combattenti (maschi) sui due fronti» (p. 37) e lo smarrimento di fronte alla patriota che invade la scena pubblica e militare. Il secondo, fedele alla visione divina e regale della sovranità, può accogliere senza traumi il temporaneo protagonismo femminile, tanto più quando si tratta di regine, «parti biologiche» della sovranità (p. 39). La stessa trasformazione rilevata da Guidi nella cultura politica delle interventiste rispetto alle patriote risorgimentali solleva domande sulle risorse culturali disponibili per sostenere la domanda di cittadinanza femminile e sulle mutazioni dell’idea di cittadinanza, evidenti nel confronto tra vecchie e nuove irredentiste (Angela Russo), o nell’autorappresentazione del giovane ufficiale nelle trincee della Grande guerra (Anna Grazia Ricca). La patriota infermiera del Risorgimento (Marcella Varriale), la narratrice del frammento umano del primo conflitto mondiale (Annamaria Lamarra) – come poi le protagoniste della «resistenza civile» (Gagliani) – sono figure femminili la cui differenza, in pace o in guerra, si inscrive pur sempre in un preciso contesto storico che ne regola l’espressione.

Catia Papa