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L’autunno del mito. La Sinistra italiana e l’Unione Sovietica dal 1956 al 1968

Santi Fedele
Milano, FrancoAngeli, 170 pp., € 23,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il bel libro, costruito su fonti secondarie, tratta l’atteggiamento della sinistra italiana di fronte alla politica sovietica, con particolare riferimento alle cesure del 1956 (rivolta di Poznań, XX Congresso del Pcus, rapporto segreto di Chruščëv e invasione dell’Ungheria) e del 1968 (Primavera di Praga e invasione della Cecoslovacchia). L’a. affronta anche alcuni caratteri del nuovo corso di Chruščëv attraverso le imprese sportive e spaziali (lo Sputnik e il volo di Gagarin) e la loro ricezione in Italia: a seconda della collocazione politica, la conquista dello spazio fu vista con paura, orgoglio o speranza. L’a. considera anche il dibattito intorno alla Cina di Mao (negli anni ’60 in crescente contrasto con l’Urss) e alla guerra in Vietnam, oltre al socialismo tropicale cubano nato dalla vittoria su Batista di Castro e Guevara (divenuto a sua volta mito) nel 1959.
Il volume non tratteggia solo il progressivo indebolimento del mito sovietico nella sinistra italiana, ben oltre il 1956 radicato nel Psi oltre che nel Pci, ma anche la lettura fornita da riviste e giornali di partito dei vari modelli di comunismo che, senza mettere realmente in discussione il leninismo e l’esito del 1917 russo, alimentarono per decenni il sogno di un altro mondo possibile, capace di superare il capitalismo e la democrazia liberale, ritenuti da più parti (in Occidente) inadeguati nel coniugare sviluppo economico e libertà sostanziali. In realtà si dimostrò vero il contrario: l’Urss poststaliniana (prima e dopo la destituzione di Chruščëv nel 1964 a vantaggio di Brežnev) non si rivelò riformabile, nonostante la distensione internazionale avesse favorito il dialogo tra i blocchi, pur in presenza di momenti di alta tensione (la costruzione del Muro di Berlino e la crisi dei missili a Cuba).
La parte maggioritaria della sinistra italiana (anche il Psi autonomista fino agli anni ’80), pur rafforzando in concreto la giovane democrazia e perseguendo l’attuazione della Costituzione, ricercò un’alternativa di sistema che oltrepassasse il modello socialdemocratico, ritenuto incapace di superare la marxiana dicotomia sfruttatori-sfruttati e, in Italia, associato a un partito filoatlantista (il Psdi), dal 1947-1948 alleato di ferro della Dc e sostanzialmente slegato dalle masse di operai e contadini oltre che dai giovani, dalla metà degli anni ’60 sempre più attivi e inquieti di fronte al sistema e alle sue contraddizioni.
Il merito principale del volume consiste nel fornire un quadro autentico di una realtà complessa e sfaccettata. L’a. contestualizza in modo appropriato gli eventi e le analisi elaborate allora, ricordando come nei vari partiti (Pci, Psi, Psiup e Psu) convivessero sensibilità diverse. Arrivati alla fine della lettura si capisce che passione e impegno, nel periodo considerato (per molti aspetti tragico), erano forse prevalenti sull’affarismo e sulla mera lotta per il potere e che di quella politica, molto ideologica e influenzata da miti sgretolatisi ben prima del 1989 ma realizzata da figure del calibro di Nenni, Togliatti, Di Vittorio, Longo, Giolitti e Berlinguer, si può perfino avere nostalgia.

Andrea Ricciardi