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Le guerre in un mondo globale

Tommaso Detti (a cura di)
Roma, Viella, 320 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2017

Difficile immaginare qualcosa di più «globale» (meglio, universale?) delle guerre. A patto di non cadere nel tranello di quella filosofia della storia che vede la guerra un fiume perenne e sempre più letale. Il tema è del resto da tempo nel mirino dei global studies, fin da quando uno dei «fondatori» della disciplina, William McNeill, pubblicò nel 1983 The Pursuit of Power. Technology, Armed Force, and Society since A.D. 1000.
Il volume raccoglie gli atti dell’omonimo convegno organizzato dalla Sissco a Perugia nel 2014. Aperto da due corposi testi introduttivi del curatore dell’opera, Tommaso Detti (che a tutti gli effetti stila un documentato saggio «quantitativo») e di Nicola Labanca (che sceglie di seguire la pista lessicale per decifrare le guerre novecentesche), si snoda in due sezioni, dedicate a Le guerre tra Ottocento e Novecento e a I volti della guerra. Quattordici interventi che nella prima parte analizzano alcuni case studies, e nella seconda esaminano la guerra in relazione a diritto (Greppi), economia (Degli Esposti), tecnologia (Fiocco), propaganda (Di Jorio), religione (Impagliazzo), fino alla riconciliazione sudafricana (Lollini). Saggi ovviamente diversi per impianto e spessore: alcuni mirati e tematici, altri sub specie di ampie overview. Il volume dimostra efficacemente quanto gli studi sulla guerra (e la pace) si siano allontanati dalla storia militare e avvicinati piuttosto alla storia globale, nutrendosi dei dati elaborati e diffusi da consolidati centri internazionali di ricerca, quali il Center for Systemic Peace di Vienna (che in realtà ha sede in Virginia), l’Uppsala Conflict Data Program, il Peace Research Institute di Oslo, il Centre for the history of violence di Newcastle, Australia, il Violence Research Centre di Cambridge, Uk.
Tra i case studies della prima parte segnalo la guerra civile americana: in un saggio storiograficamente molto aggiornato Tiziano Bonazzi trascina la storia degli Stati Uniti e della guerra di secessione fuori dallo schema dell’eccezionalismo e ben racconta il paradosso di una guerra di secessione destinata a «riunificare». Mirati e suggestivi i saggi di Bruna Bianchi (gli effetti della Grande guerra sulla popolazione civile), di Antonella Salomoni (il fronte orientale del secondo conflitto mondiale e le «rovine ebraiche») e di Guido Samarani, che si concentra sul tema delle guerre combattute in Asia nel corso del ’900. Tra i saggi della seconda parte, più organica perché strutturata su binomi tematici, mi limito a segnalare quello di Edoardo Greppi su guerra e diritto internazionale (attorno al nodo cruciale e controverso del diritto «umanitario» a porre limiti alla sovranità delle singole nazioni), e quello di Marco Impagliazzo su un tema di autoevidente crucialità: il ruolo della religione nei conflitti contemporanei.
Se Gérard Chaliand (Une histoire mondiale de la guerre) ed Erik-Jan Zürcher (curatore dell’innovativo Fighting for a Living. A Comparative History of Military Labour, 1500-2000) sono assenti giustificati (i loro lavori sono coevi al convegno), meno lo è Steven Pinker, il cui ragionamento sul «declino della violenza» e delle guerre forse meritava maggiore attenzione.

Carlo Fumian