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Le péril rouge. Washington face à l’eurocommunisme

Frédéric Heurtebize
2014, Paris, Presses Universitaires de France, 387 pp., € 23,00

Anno di pubblicazione: 2015

Maître de conférences all’Università Paris Ouest di Nanterre, Frédéric Heurtebize
consacra la sua opera prima, tratta dalla tesi di dottorato discussa nel 2011, alla percezione
che i vertici istituzionali e diplomatici statunitensi ebbero della vita politica italiana e
francese negli anni ’70, con particolare attenzione all’avvicinamento dei rispettivi partiti
comunisti (Pci e Pcf ) alla «stanza dei bottoni». In tal senso, il sottotitolo del libro è fuorviante
perché focalizza l’attenzione sull’eurocomunismo, che è solo uno dei temi trattati,
e fa pensare ai tre partiti che ne furono artefici: Pci e Pcf, appunto, ma anche il Partito
comunista spagnolo (Pce), che invece è escluso dallo studio con la motivazione, un po’
debole per la verità, che i suoi scarsi risultati nella prima tornata elettorale postfranchista
non destarono soverchie attenzioni a Washington (pp. 14-15).
A parte quest’equivoco, il lavoro è svolto con chiarezza espositiva e competenza, ed
è basato su un’ampia documentazione che attinge soprattutto dagli archivi d’oltreoceano,
da fonti diplomatiche francesi – quelle italiane sono risultate inaccessibili – e da quelle
di Pci e Pcf, cui si aggiungono decine d’interviste a personalità statunitensi, francesi e
italiane a diverso titolo coinvolte nei fatti. Ne emerge un quadro particolareggiato in cui
la pluralità di attori sulla sponda americana può essere ricondotto a tre soggetti principali:
la Casa Bianca, gli ambienti diplomatici facenti capo alle ambasciate di Roma e Parigi, e
la Cia.
Secondo l’a., gli Usa vissero il possibile ingresso dei comunisti negli esecutivi di
Francia e Italia come un grave rischio per la stabilità della propria area d’influenza nel
Vecchio Continente. L’Italia, particolarmente esposta sul piano geopolitico, con un Pci in
forte ascesa e governi fragili, costituiva un rebus di ardua soluzione, su cui la Casa Bianca
intervenne con strategie variabili: dallo schietto anticomunismo di Richard Nixon alla
circospezione ondivaga di Jimmy Carter. Poco legata agli Usa rispetto all’Italia, più solida
economicamente e politicamente, la Francia rappresentava un terreno d’azione meno impegnativo
per Washington. Oltre al fatto che il Pcf, ingessato e prevedibile in confronto
al Pci, costituiva un oggetto meno misterioso dell’omologo d’oltralpe e appariva poco
attraente sul piano elettorale. Vista d’oltreoceano, l’ortodossia del Pcf finiva per essere una
garanzia di stabilità rispetto alla carismatica ma insondabile occidentalizzazione del Pci.
Per concludere, il libro conferma lo stato dell’arte arricchendolo di numerosi dettagli
derivanti dalle testimonianze orali e dall’accurata indagine sulle fonti inedite. Attento a
non cadere in tentazioni «dietrologiche», l’a. rischia, peraltro, d’inciampare in una discrezione
forse eccessiva. È il caso della «tragédie Moro», cui concede due paginette scarse (pp.
280-282) e nessun riferimento bibliografico.

Roberto Colozza