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Le «trincee del popolo». Borgo del Naviglio, rione Trinità, Parma 1922

Marco Minardi
Roma, Ediesse, 171 pp., € 12,00

Anno di pubblicazione: 2013

più in là, borgo Torto e borgo Valorio, borghi popolari a ridosso della ricca e borghese «Parma nuova» – che si snoda il racconto di Marco Minardi. Strade non molto diverse dagli altri rioni popolari oltre il torrente Parma, anzi a loro del tutto simili per fisionomia sociale e condizioni di vita, per tensione politica e indole degli abitanti, per mentalità e relazioni con il potere. Eppure l’a. stringe a tal punto la lente da farne quasi qualcosa di diverso. Certo, lì, nei giorni dell’agosto 1922 gli scontri a fuoco tra Camicie Nere e Arditi del Popolo furono aspri, anche perché questi borghi erano adiacenti alla stazione e all’ex cinta muraria e nessun torrente li divideva dal resto della città. Ma ciò non è forse sufficiente a volerne fare un luogo altro rispetto alla città popolare.
L’a. inquadra l’ormai noto episodio delle barricate antifasciste tra le elezioni del maggio 1921 e la Marcia su Roma, tratteggiando il ritratto politico di una città in cui «lo schieramento antifascista poteva contare su una robusta adesione soprattutto tra i lavoratori» e il fascio cittadino rimaneva confinato in una «sostanziale fragilità» (pp. 21-22). Accenna alle prime incursioni squadriste e si dilunga sugli scontri tra fascisti, forze dell’ordine e antifascisti in borgo del Naviglio, raccontandoli minuziosamente e conferendo loro i tratti di «una vera battaglia, anticipatrice di altre che sarebbero seguite» (p. 34). Prosegue poi con l’elezione di Guido Picelli a deputato nelle liste del Psi e con la sua propaganda per un «fronte unico proletario» da opporre a quello borghese, premessa per creare, in città, gli Arditi del Popolo. La loro «entrata in scena» è presentata come l’elemento che spostò «lo scontro su nuovi livelli. […] Armati avrebbero prevenuto e intimidito il nemico, sfidandolo apertamente con coraggio e spavalderia» (p. 64). Le fonti privilegiate rimangono quelle classiche – giornali coevi e carte di polizia – anche se l’a. non manca di utilizzare ampiamente il lavoro inedito di Paolo Tomasi, giornalista parmense che ha dedicato gran parte della sua attività alla ricerca su questi temi. Grazie a tale documentazione, sono ricostruite le biografie di una cinquantina di Arditi che vivevano in quei rioni, per l’a. «i veri protagonisti di quella battaglia a difesa del rione e della libertà» (p. 18). Edito sulla scia di un rinnovato interesse storiografico per Arditi del Popolo e sovversivismo, il lavoro tenta di superare il mito dell’«Oltretorrente ribelle» che, soprattutto dopo l’episodio delle barricate, è sedimentato nella cultura popolare e antifascista, nella commemorazione politica e anche in tanta storiografia. Ma il tentativo, seppur pregevole, in molte pagine sembra scontrarsi con il limite di sempre: la sua sostituzione con un altro mito, quello del «Naviglio ribelle», «l’avamposto delle difese antifasciste della città» (p. 17), «piccola rete di borghi fatiscenti pronti a insorgere ai soprusi e alle ingiustizie che la modernità sembrava loro riservare» (p. 18), «avanguardia contro squadrismo e camicie nere» (p. 20).

Margherita Becchetti