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L’eredità Canepa. Il Sessantotto tra memoria e scrittura

Manlio Calegari
Acqui Terme, Impressioni grafiche, 216 pp., € 10,00

Anno di pubblicazione: 2014

Gino Canepa, tornitore specializzato declassato a manovale, incontra Calegari a Ge￾nova negli anni ’60, quando questi partecipa da esterno all’organizzazione delle nuove
lotte sociali. Nel 1968, Canepa condivide subito l’antiautoritarismo degli studenti. E i
due si legano di una amicizia durevole.
Questo è un libro che affascina e la non comune abilità narrativa dell’a. di primo ac￾chito ne cela la struttura, una storia a molti strati, magistralmente interconnessi. La storia
della famiglia Canepa: i nonni coltivatori delle ville genovesi, il padre camallo al porto,
infine Gino, operaio all’Ansaldo; l’autobiografia di un operaio eccentrico e geniale; la
storia di Felicina, sua madre, contadina. La storia sociale nella Genova degli anni ’70, che
partendo dagli operai passa a studiare i portuali e infine i contadini. La storia, infine, della
lunga amicizia tra Canepa e Calegari, il quale eredita l’archivio di Gino alla sua morte.
Interessanti sono sia i risultati sia la metodologia della ricerca. Il libro illumina,
infatti, il sistema delle ville, che ci viene presentato come un modello agricolo legato
allo sviluppo della città tardo ottocentesca, quindi come una realtà sociale non arcaica,
a differenza delle interpretazioni a lungo ricorrenti. Ragiona su come varia nel tempo
la posizione di contadini, camalli e operai nella gerarchia sociale urbana. Ricostruisce il
modo di pensare degli operai genovesi, che nelle acute riflessioni di Gino appare intriso
di elementi conservatori.
Come nei suoi precedenti saggi dedicati alla resistenza ligure, anche in questo, l’a. – che
è stato per molti anni ricercatore del Cnr – utilizza in modo intensivo la fonte orale, privi￾legiando però la realizzazione di molte interviste sgranate nel tempo con pochi protagonisti.
In tal modo stimola il testimone a impadronirsi lui stesso di una pratica e di un linguaggio
che lo metta in grado di interrogarsi, di porre alla sua esperienza passata domande che non
si era rivolto quando i fatti si svolgevano. Sono interviste che, nel caso di Canepa, vengono
assorbite nella frequentazione col più giovane amico Calegari, storico di professione.
L’a. combina inoltre in modo felice fonti orali e d’archivio. Nel caso di Gino, ag￾giunge all’autobiografia orale informazioni desunte da lettere e diari, fino a costruire l’im￾magine complessa e contraddittoria di un operaio «pensieroso». Ma non è meno efficace
la ricostruzione della figura di Felicina: la comparazione tra le interviste dell’a. e quelle
raccolte da una studentessa ad anni di distanza produce risultati stimolanti da un punto
di vista ermeneutico: se a Calegari, intellettuale maschio, Felicina aveva raccontato la
propria vita come sequenza di tribolazioni, vera corona di spine, alla giovane donna narra
invece una storia nuova, parla dei desideri provati da giovane, frustrati fin dall’infanzia,
quando il padre, stakanovista dell’ortaggio, costringeva tutta la famiglia, inclusi i bam￾bini, a un lavoro nei campi ininterrotto (tanto che rigovernare i piatti era un lusso). E
parla della fuga, da questo padre che non voleva privarsi delle sue braccia nel campo, al
momento del matrimonio

Giovanni Contini