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Leto Fratini, scultore. Percorsi esistenziali e traiettorie dell’antifascismo tra Firenze e Milano

Carmelo Albanese
prefazione di Simone Neri Serneri, Ospedaletto, Pacini, 149 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2017

La breve vita di Leto Fratini (1911-1943), scultore originario della Val d’Elsa, è un
percorso non lineare eppure a suo modo paradigmatico di una componente dell’antifascismo
di matrice culturale e morale. Giovane dal forte senso religioso e predisposto alla
vita intellettuale attiva, Fratini a metà anni ’30 si trasferisce a studiare a Milano – città in
cui l’avanguardia prende casa in luoghi pubblici e privati e in cui l’antifascismo non trova
ancora modo di incanalarsi, se non in esili forme culturali –, giungendo a farsi segnalare
grazie alle sue prime opere (soprattutto ritratti). Quando, con i primi rovesci della guerra
mondiale, il generale senso di malcontento dà avvio al rapido sgretolamento del fronte
interno, anche Fratini è tra coloro che si guardano intorno alla ricerca di nuovi punti di
riferimento: arrestato nel 1942 per diffusione di stampa clandestina, lo scultore è trattenuto
per diversi mesi, perché creduto in grado di rivelare informazioni utili a individuare
una cellula antifascista, prima che il disagio psichico e la malattia mettano fine alla sua
esistenza. La ricostruzione dell’a., tuttavia, smentisce che Fratini abbia avuto un ruolo
chiave in un’adunanza segreta di oppositori del regime, come in effetti la leggerezza dello
stesso Fratini, che appare estraneo alle astuzie necessarie ad attraversare indenni la lotta
nella clandestinità, indirettamente conferma.
Sono diversi e preziosi i motivi di riflessione che percorrono il libro, a partire dalla
dimensione dell’antifascismo di Fratini, che appare principalmente come il punto di arrivo
di una parabola culturale, in cui gli aspetti prettamente politici sono tutt’al più confusi
e acerbi. Vi è poi la questione delle trame antifasciste, una matassa difficile da sbrogliare
anche sulla scorta della documentazione (in parte inedita), delle testimonianze e dell’autobiografia
di Fratini sulle quali l’a. fonda la sua ricostruzione, poiché permangono contraddizioni
tra le diverse versioni fornite dagli antifascisti che gravitavano intorno allo
scultore e quella che si ricava dalle carte d’archivio. L’a. ne conclude, con una qualche dose
di certezza, che Fratini «sia piombato in un contesto di cui non ha cognizione, mancando
degli strumenti […] per comprenderne i contorni e gestirne le implicazioni» (p. 77). Tale
versione dei fatti confligge, pertanto, con la narrazione biografica promossa dai comunisti
toscani negli anni ’50, che hanno visto in Fratini un martire della lotta clandestina. Il volume
è dunque anche un lavoro di risistemazione della memoria, che non fa venire meno
i valori dello scultore, ma raschia dalla superficie la patina di una presa di possesso politica
che inficiava una lettura rigorosa e attendibile della sua vicenda esistenziale.
Fratini, grazie a questa ricerca, appare sotto una luce migliore oggi come inesperto
e sognatore artista di sentimenti antifascisti forse alla ricerca di un più alto ideale da
servire che non come il combattivo militante che il comunismo del dopoguerra ci ha
consegnato.

Fabio Guidali