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L’Europa oltre l’Europa. Metamorfosi di un’idea nella crisi degli anni Trenta (1929-1939)

Tommaso Visone
Pisa, ETS, 515 pp., € 39,00

Anno di pubblicazione: 2015

Tornare a indagare gli anni ’30, come l’a. propone di fare con quello che può essere
considerato il secondo tempo di uno studio informato e ben strutturato – il primo, L’idea
d’Europa nell’età delle ideologie (1929-1939) è del 2012 e si concentra sui casi francese
e italiano –, non è un ozioso esercizio accademico. Stringendo l’obiettivo sui molteplici
progetti di federazione o unificazione del continente, si riscontra infatti la centralità
del problema della sovranità e dunque del soggetto politico, ancora oggi di stringente
attualità. Il volume si apre con un esame dei mutamenti geopolitici (la perdita di supremazia
del continente) e culturali (la percezione di una presunta decadenza) all’origine
della crisi dell’eurocentrismo nel primo dopoguerra, funzionale a mostrare come siano
le conseguenze della grande depressione a provocare una radicalizzazione della riflessione
sull’Europa.
Se negli anni ’20 si mira a riformare, attraverso progetti politici come la Società delle
Nazioni e la «Paneuropa», il modello di convivenza liberale mantenendone i principi ordinatori
quali l’equilibrio tra potenze e l’individualismo, negli anni ’30 prevale invece la
necessità di un drastico mutamento di paradigma, che contempla l’esigenza di fare i conti
proprio con la questione della sovranità, fino a quel momento rimossa.
Nucleo dello studio è l’analisi delle famiglie ideologiche liberale, socialista e fascista,
condotta attraverso una comparazione tra coppie di pensatori per consentire una verifica
della trasversalità dei diversi approcci rispetto ai singoli contesti intellettuali (per quanto
siano approfondite le vicende tedesche e spagnole). L’autore sceglie Ortega y Gasset, fautore
di uno Stato nazionale europeo, e Nitti, che guarda al Commonwealth come esempio
di un’autorità superiore agli Stati nazionali, per porre in rilievo gli sforzi d’ibridazione
da parte dei propugnatori delle concezioni liberali, interessati a difendere la tradizione
spirituale dell’Europa ottocentesca, mentre seleziona come punti di osservazione privilegiati
sui variegati ambienti socialisti lo spagnolo Araquistáin, patrocinatore di uno Stato
europeo socialista e assoluto, e Thomas Mann, il cui inserimento in questo ambito può
apparire problematico, ma che in effetti negli anni ’30 si dichiara a più riprese favorevole
a una democrazia sociale che tuttavia tuteli l’individuo. L’universalismo cattolico di Giménez
Caballero e il Konkretes Ordnungsdenken promosso da Carl Schmitt, che è sotteso
all’idea di un Reich razzialmente omogeneo che non coincide con uno Stato, ma che si
identifica con l’idea di Großraum, confermano come il 1929 sia un passaggio decisivo
pure per la cultura fascista, permeata dal sogno di una rigenerazione dell’Europa in senso
antiliberale e antisocialista.
Tutti questi progetti, tra loro radicalmente alternativi, mostrano come l’idea di palingenesi
e l’opposizione alla semplice riforma del modello di convivenza civile vigente siano
un robusto filo conduttore per tutti gli anni ’30, e come l’idea di Europa sia strumentale alle
differenti visioni ideologiche, ma in fondo irrinunciabile principio di legittimazione

Fabio Guidali