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L’idioma molesto. Cecchi e la letteratura novecentesca a sfondo razziale

Bruno Pischedda
Torino, Aragno, 313 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il volume di Pischedda sottopone a un’attenta analisi gli scritti pubblici e privati del noto critico letterario Emilio Cecchi, individuando in essi un filo rosso di pregiudizio razzista e antisemita sin dalle prime annotazioni dei taccuini di lavoro nel 1912. A partire da Cecchi, l’a. ricostruisce minuziosamente una ragnatela di rapporti, amicizie, affinità, convergenze il cui minimo comun denominatore è un pregiudizio antisemita radicato e complesso; frutto delle riflessioni di un mondo intellettuale impregnato di suggestioni in cui si sovrappongono elementi positivisti, nazionalisti, religiosi, che danno vita a «un microsistema del razzismo italiano in nuce: una sorta di cellula aggressiva ancora poco consapevole di sé e di scarsa incidenza presso i contemporanei […], però destinata ad accrescersi e a degenerare fatalmente nei decenni ormai prossimi» (p. 63).
Nel mondo intellettuale italiano sorgono correnti in cui l’antisemitismo diventa un idioma culturale complesso e articolato, concezione latente e prepolitica a base com- plottista, una chiave interpretativa atta a ricondurre sotto un’unica regia le più svariate manifestazioni politiche e culturali, considerate nocive allo sviluppo armonico della so- cietà. Uno dei circoli più interessanti in questo senso è quello che ruota attorno a «La Ronda», rivista letteraria diretta da Cardarelli a cui si legano i nomi di Cecchi, Baldini e Bacchelli, intellettuali che poi transiteranno verso le testate giornalistiche dell’antisemita Telesio Interlandi. Ma quella antisemita per Cecchi e i suoi sodali scrittori, non è solo
«una passione, creativa come tutte le passioni, e nobile come tutte le passioni», secondo la definizione dello scrittore fiorentino in un articolo de «La Tribuna» nel 1920 (p. 122); si trasforma in un impegno non solo letterario, ma anche propagandistico e latamente cospirativo, attraverso la collaborazione con Umberto Benigni, il sacerdote che passò la vita a combattere il modernismo, l’ebraismo e il socialismo e che nell’ultima fase della sua vita, emarginato nel mondo cattolico, mise la sua rete spionistica al servizio del fascismo. Benigni, che ha usato la stampa per combattere il modernismo agli inizi del ’900, capi- sce il potere dell’informazione nell’influenzare l’opinione pubblica. Per questo privilegia contatti nel mondo giornalistico e Cecchi è pienamente inserito, pur con una sua cifra stilistica particolare, in questa agenzia di informazioni clandestina specializzata nel de- nunciare il «pericolo ebraico».
La vicenda di Cecchi mette in luce un mondo sotterraneo in cui il pregiudizio anti- semita si alimenta attraverso innesti ideologici inediti e ramificazioni estese negli ambienti intellettuali italiani. In questo mondo vanno cercati i temi, le elaborazioni e gli argomen- ti, ma anche le radici del consenso, tacito o esplicito, all’antisemitismo del 1938. Questo studio ci conferma l’idea che i semi della propaganda antisemita in Italia non cadono su una terra vergine, ma su un terreno in parte lavorato e ancora da esplorare.

Gabriele Ragno