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Lina Severino, Gabriele Licciardi – Il Sessantotto in periferia. Catania fra il movimento studentesco e la svolta a destra degli anni Settanta – 2009

Lina Severino, Gabriele Licciardi
Acireale-Roma, Bonanno, 168 pp., euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2009

Appare utile l’esame di fenomeni storici di portata planetaria, come il ’68, nelle loro ramificazioni territoriali. Anche quando il territorio indagato risulta una mera variabile dipendente come, in questo caso la città di Catania, «una periferia […], se non uguale, almeno simile nella composizione del movimento, nelle pratiche di protesta e nei suoi motivi, a quella del resto del Paese» (p. 24)È questa la tesi centrale del libro, nel quale si passano in rassegna gli aspetti di analogia – emulazione? – tra il ’68 catanese e quello italiano: dal protagonismo giovanile al dissenso cattolico, dalle teorie operaiste alle pratiche di «separazione poco consensuale con i partiti» (p. 45). Le vive parole dei protagonisti rievocano i luoghi fondamentali di socializzazione, il circolo «Giaime Pintor» e il Centro universitario cinematografico, nonché le principali aree d’intervento, in ambito studentesco e verso le fabbriche più prossime. Si giunge quindi alla formazione dei gruppi della nuova sinistra, presenti soprattutto nella versione maoista.Severino e Licciardi, docenti di Storia rispettivamente all’università e nei licei, si sono divisi più o meno equamente il lavoro. Alla prima è andata la parte più originale, che comprende il trattamento delle fonti primarie; al secondo i capitoli finali dei cinque complessivi, eterogenei e di taglio più generale. La base documentaria è costituita prevalentemente da testimonianze orali, a cui si aggiungono alcuni – forse pochi, vista l’inesistenza di una compiuta ricostruzione del ’68 a Catania – documenti e volantini conservati in fondi personali.Oltre la similitudine tra il movimento cittadino e quello nazionale, vengono messi in luce due elementi specifici del contesto geografico, che avrebbero meritato un’analisi più approfondita. L’uno è la presenza di una destra sessantottina, che contende/difende spazi di agibilità politica alla sinistra, dimostrando – secondo gli aa. – che «a Catania, come in gran parte d’Italia, il ’68 non fu solamente un movimento di sinistra, ma di destra e fortemente di destra» (p. 25). L’altro è la sostanziale indifferenza del movimento alle inedite forme del disagio sociale ed economico nei quartieri urbani e ai più tangibili meccanismi di sfruttamento del territorio.In quest’ultima prospettiva, è significativa la citazione di uno dei protagonisti del ’68 catanese, lo storico Nino Recupero, il quale ammette con rammarico che il movimento non ha saputo individuare gli autori dello «scempio edilizio della città» (p. 151), il coacervo di interessi di una parte della borghesia cittadina, costituitasi in comitati d’affari sprezzanti della legalità. D’altronde, fu anche questo il terreno su cui la destra cittadina si legittimò, raggiungendo risultati elettorali inimmaginabili – intorno al 20-30 per cento – alle elezioni dei primi anni ’70, grazie al fatto che, come afferma l’unica testimone donna, allora missina, «la nostra battaglia politica si basava sulla lotta al mal costume nel governo della cosa pubblica» (p. 140). Un terreno lasciato, non solo a Catania, in mano alla destra.

Luigi Ambrosi