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Linda Reeder – Widows in white. Migration and the transformation of rural Italian women, Sicily, 1880-1920 – 2003

Linda Reeder
Toronto-Buffalo-London, University of Toronto Press, pp. 322, $ 27,50

Anno di pubblicazione: 2003

Salutiamo con sollievo il lavoro di una studiosa americana che parla delle donne siciliane senza sprofondarle in un mondo senza tempo né inchiodarle a retaggi ancestrali, l’onore, il sangue e tutto l’armamentario archetipico sfoderato non sempre a proposito dall’antropologia culturale.
Troviamo questa ricerca sul campo, dedicata a Sutera, paese in provincia di Caltanissetta, nella collana ?Studies in Gender and History?, diretta da Jacovetta e Dubinsky.
Sfidando l’approccio consolidato degli studi sull’emigrazione e l’attenzione esclusiva al protagonismo della popolazione mobile, l’autrice non si fa intrappolare dalla preponderante mascolinità dell’emigrazione siciliana e fissa lo sguardo sul ruolo e sulle reazioni delle donne, di coloro che non partono ? le cosiddette ?vedove bianche? del titolo. Anziché accreditarne l’immagine di vittime e spettatrici passive, ne recupera la partecipazione e l’esposizione al mutamento.
A quest’ottica capovolta i risultati innovativi, anche se forse più enfatizzati del dovuto, non mancano.
Il primo a cadere è lo stereotipo dell’estraneità femminile all’organizzazione della partenza. Sono anche della giovane moglie i networks familiari che puntellano l’impresa migratoria; se non fosse per la sua collaborazione attiva, sarebbe arduo racimolare i soldi del viaggio e la disponibilità della dote o la vendita di qualche proprietà la vedono sempre all’opera. Quindi, appena salutato il marito, inscrive la propria esistenza in una nuova dimensione che le riserva spazi sociali inusitati e ne ridisegna la mappa mentale.
I mutamenti di maggior spessore generano un autentico riposizionamento sociale. Le donne degli emigranti si trasformano in soggetti economici: quando maneggiano e investono le rimesse, aprono piccoli negozi ed entrano nelle schiere delle consumatrici; allorché poi scoprono la faccia amichevole e protettiva dello Stato ? attraverso la scuola e altre istituzioni con cui entrano, giocoforza, in contatto ? e si inoltrano nell’universo omologante della lettura, gli orizzonti si dilatano, le appartenenze si moltiplicano. Chiaramente i soggiacenti modelli interpretativi di riferimento fanno capo all’Eugene Weber di Da contadini a francesi e al Benedict Anderson delle Comunità immaginate.
La rilettura critica in tal modo effettuata è il portato del costante, puntiglioso raffronto tra i pregiudizi sulle donne profusi dalla cultura del tempo ? letteraria, psicologica, medica ? e la realtà dei fatti e dei comportamenti. L’irrilevanza degli adulteri smentisce la teorizzata voracità sessuale femminile, l’acquisizione di una cultura urbana è evidenziata dal calo delle nascite, l’esperienza materna cambia profondamente. Insomma, il modello bifronte, che ha incessantemente filtrato l’esperienza migratoria e l’ha associata alla mascolinità e alla modernità di contro alla femminilità e arretratezza contadina dei sedentari, viene completamente scardinato.
Resta da chiedersi in che misura questi mutamenti abbiano intaccato la percezione corrente dei rapporti di genere di quelle contrade. Un maggior spazio alle fonti orali avrebbe forse fornito un buon terreno di verifica alle stimolanti tesi dell’autrice.

Andreina De Clementi