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«L’infausto dono dell’Arabia». Vaiolo e vaccinazione nel Mezzogiorno preunitario (1801-1861)

Alberto Tanturri
Milano, Unicopli, 200 pp., € 16.00

Anno di pubblicazione: 2014

Il volume di Tanturri prende a oggetto un morbo, il vaiolo, che per una pluralità di
ragioni (epidemiologiche, politiche e anche religiose) ha ricevuto una attenzione limitata
da parte degli studiosi di storia sociale e istituzionale. L’obiettivo è quello di far luce sulle
modalità di diffusione della prima efficace profilassi (la vaccinazione) tra il 1801 e il 1861
nel Meridione d’Italia e, nello specifico, nelle circoscrizioni territoriali che andavano allora
dall’Abruzzo al Molise fino alla terra di Bari. La trattazione è divisa in due parti. Nella
prima, si analizzano gli interventi normativi che si susseguirono a seconda dei diversi
regimi statuali. Nella seconda, si considerano le modalità di applicazione della prassi vaccinatoria
con tutti gli ostacoli che ne intralciarono il cammino.
Si trattò, nel complesso, di una operazione lenta, non semplice, eppure con esiti
positivi se, dieci anni prima dell’unificazione, circa il 70 per cento della popolazione ne
risultava interessata. Tra i fattori di spinta Tanturri identifica l’efficacia della profilassi
ben presto riconosciuta anche dai più scettici, un modello di intervento pubblico ben
organizzato dal governo francese che rimarrà tale anche negli anni seguenti e, da ultimo,
un cambiamento di cultura che vide nella malattia un male possibile da sconfiggere. Tra
i fattori di freno vengono annoverati, oltre i limiti orografici, le sedi inadatte per la vaccinazione
e la continua carenza di pus, la resistenza culturale e gli interessi economici tanto
del clero quanto della classe medica. Quest’ultima sembra muoversi in modo difforme
tra l’accettazione di una pratica innovativa e di forte prevenzione e l’opposizione a una
metodologia di intervento che appariva più degna del lavoro di cerusici e flebotomi che
di laureati in medicina.
Il volume (ben strutturato e scorrevole) è corredato da un ampio apparato di note
e di indicazioni bibliografiche, tuttavia, le conclusioni appaiono forse troppo scarne. Si
potevano, infatti, sottolineare ulteriormente alcuni fattori strutturali come le differenze
tra città e campagna nell’applicazione delle norme o attirare l’attenzione sul ruolo non
secondario giocato da alcuni protagonisti come Antonio Miglietta il cui lavoro costituì un
punto di riferimento nella ideazione e applicazione delle politiche vaccinatorie. D’altro
canto, una maggiore valorizzazione poteva essere attribuita, sempre nelle conclusioni, allo
sforzo di documentazione statistica che a partire dai primi anni del secolo contraddistinse
la lotta contro il vaiolo, alla luce, soprattutto, delle difficoltà che ancora oggi incontrano
le raccolte di dati sullo stato di salute della popolazione e sulle performance dei servizi
sanitari.

 Giovanna Vicarelli