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L’Iraq contemporaneo

Riccardo Redaelli, Andrea Plebani
Roma, Carocci, 205 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2013

Gli eventi tragici che hanno coinvolto l’Iraq nell’estate 2014 e hanno visto protagonista l’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante), il gruppo jihadista che ha come obiettivo la ricostituzione di un califfato islamico, hanno sollevato interrogativi sull’artificialità delle frontiere degli Stati medio orientali creati dopo la prima guerra mondiale e in particolare dell’Iraq, voluto dagli inglesi come unione di tre provincie dell’Impero ottomano (i vilayets di Mosul, Baghdad e Bassora) molto diverse tra loro. Il volume scritto a quattro mani da Redaelli e Plebani sembra fatto apposta per rispondere a tali interrogativi, dal momento che sin dall’inizio i due aa. intendono confrontarsi con la spinosa questione dell’«artificialità del paese» (p. 17).
La condivisibile tesi di fondo del volume è che sarebbe assolutamente fuorviante guardare agli 80 anni di vita dell’Iraq attraverso il filtro della «guerra civile» (p. 147) che ha caratterizzato l’ultimo decennio. Allorché, infatti, durante la Conferenza del Cairo del marzo 1921 presieduta dal ministro delle Colonie Churchill, l’Iraq venne creato, nonostante gli elementi che differenziavano le tre provincie dal punto di vista etnico, religioso, politico ed economico, i tre principali gruppi etnico-religiosi di cui era (ed è) composto il paese, vale a dire curdi, sunniti e sciiti, non erano isolati l’uno dall’altro, ma esistevano tra loro interconnessioni che sarebbero proseguite anche nei decenni successivi. Al contempo, questi non erano (e non sarebbero stati) così coesi come una superficiale pubblicistica vorrebbe far credere, perché caratterizzati da divisioni di vario tipo, in particolare clanico-tribali, che incidevano (e avrebbero inciso) fortemente sulle dinamiche politiche tanto di ciascun gruppo, quanto del paese.
Composto di sei capitoli oltre alle conclusioni, una cronologia e un glossario utilissimi, e una bibliografia molto aggiornata, il volume presenta in maniera concisa ma approfondita la storia dell’Iraq a partire dalla scomparsa dell’Impero ottomano: il Mandato britannico (1922-32); gli anni della monarchia hashemita (1932-1958); il cosiddetto «decennio rivoluzionario» dei generali Qassim e ’Arif (1958-68); i più di trenta anni di dominio del partito Ba’th con la progressiva ascesa di Saddam Husayn, il consolidamento del potere e la sua sopravvivenza nonostante la prima guerra del Golfo e le durissime sanzioni della comunità internazionale (1968-2003); l’ultimo decennio, dall’invasione anglo-americana del 2003 che fece precipitare l’Iraq in un «inferno» di violenza, al lento e difficile cammino verso la «ricostruzione» dopo il 2008, caratterizzato dall’incapacità da parte della leadership politica di portare avanti un progetto «condivisibile per tutte le comunità del paese» (p. 168). Molto equilibrata è la parte relativa agli ultimi anni, poiché i due aa. non cadono nella trappola di attribuire tutte le «colpe» agli anglo-americani, sebbene durissimo sia il giudizio sugli errori commessi dall’amministrazione Bush, ma mettono in luce anche le numerose responsabilità irachene, a partire da quella «instabilità strutturale» (p. 171) che ha caratterizzato l’intera storia del paese.

Arturo Marzano