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L’Italia e l’avvio del processo di distensione internazionale (1955-1958)

Lucio Barbetta
Milano, Guerini e Associati, 338 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il lavoro di Barbetta esamina la politica estera italiana di un breve periodo della seconda
legislatura repubblicana. Il libro – presumibilmente ripreso dalla tesi di dottorato
dell’a. – ripercorre con serietà l’interiorizzazione, da parte del sistema politico nazionale,
delle sfide aperte dall’avvio del processo di distensione. Molti snodi affrontati nel volume
già sono stati oggetto di studi che hanno ricostruito il travaglio vissuto dal paese in una
fase importante di ridefinizione degli assetti bipolari: un interesse storiografico proporzionato
all’importanza attribuita al necessario rinnovamento della politica estera nazionale.
C’è, alle spalle di questo studio, una ricerca scrupolosa i cui esisti sono convogliati
nella convinta adesione agli strumenti della storia diplomatica: genere che – specie se
adeguatamente maritato con approcci contigui – può ancora dare risultati di valore. In
questo caso, accanto ad alcuni risultati apprezzabili, gli indugi sulla dimensione diplomatica
finiscono, però, per frenare l’innovazione interpretativa che pure sembra a portata di
mano in più di un passaggio della narrazione. Molto spazio è riservato alla trasposizione
di opinioni ricavate da note che descrivono la qualità dei rapporti fra il Quirinale e l’esecutivo,
o le tensioni fra esponenti del partito di maggioranza orfano della stagione centrista.
Pur montando con intelligenza molte notizie, conclusioni, induzioni provenienti
da una bibliografia consolidatasi negli ultimi vent’anni, il lavoro sembra a tratti incantato
sulla genesi di meccanismi tutti interni che, solo in parte, spiegano il tentativo italiano
di ricavarsi uno spazio autonomo nel sistema internazionale della metà degli anni ’50 del
XX secolo. Così facendo si corre il rischio di drammatizzare le circostanze affrontate dai
governi Segni e Zoli, che – a ben vedere – hanno più di qualche elemento comune con
quelle vissute dai coevi esecutivi dei maggiori paesi europei.
La discussione dei punti di ricaduta della cosiddetta «prima distensione» sul sistema
politico italiano non esclude nessuno dei teatri nei quali la seconda legislatura repubblicana
fu chiamata a elaborare strategie originali, ed è questa la parte del lavoro che meglio
integra le conoscenze sull’argomento. Tuttavia, l’analisi dello sviluppo (che indubbiamente
ci fu) dei piani paralleli alla dominante e indiscutibile appartenenza atlantica, appare
talvolta più narrativa che esplicativa. Del resto la pretesa di rendere conto di ogni passaggio
si deve misurare con il paradosso di Zenone d’Elea: vi è sempre un segmento, magari
infinitesimale, che ci sfugge.
Alla descrizione del lento adeguarsi e delle ambiguità della politica estera nazionale
avrebbe verosimilmente giovato un maggiore confronto con gli archivi americani (qui
presenti solo nella versione Frus), che avrebbe aiutato a dimensionare in maniera più
sobria i toni – talora enfatici – della ricostruzione.

 Mauro Campus