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Lorenzo Medici – Dalla propaganda alla cooperazione. La diplomazia culturale italiana nel secondo dopoguerra (1944-1950) – 2009

Lorenzo Medici
Padova, Cedam, 291 pp., Euro 29,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il volume affronta in modo documentato i principali passaggi della ricostruzione di una diplomazia culturale italiana compiuti durante i primi anni del secondo dopoguerra, cercando di evidenziare le soluzioni di continuità tra il periodo liberale, il ventennio fascista e la nuova stagione democratica e repubblicana.Animati dal desiderio di accompagnare la diplomazia politica e di alleviare le conseguenze sociali del fenomeno migratorio, i governi liberali si affidarono prevalentemente alle scuole italiane all’estero, cercando, soprattutto durante e dopo la fase crispina, di trasformare questi istituti in uno strumento di promozione degli interessi politici e commerciali ispirati alle nuove strategie espansionistiche nazionali. Fino alla metà degli anni ’30, il regime mussoliniano si limitò a accentuare le finalità nazionaliste perseguite dai governi liberali, attraverso la progressiva fascistizzazione delle scuole all’estero, la riorganizzazione del Ministero degli Affari esteri, la creazione di nuovi strumenti come gli istituti culturali e gli accordi culturali bilaterali e la graduale espansione della penetrazione culturale dal solo bacino mediterraneo alle aree danubiano-balcanica e latino-americana. Fu a partire dalla metà degli anni ’30, con la creazione del Ministero della Cultura popolare (1937) e, soprattutto, con la creazione dell’Istituto nazionale per le relazioni culturali con l’estero (1938), che il nuovo corso della diplomazia culturale italiana conobbe una decisa accelerazione, arricchendosi di una dimensione di propaganda ideologico-nazionalista sconosciuta ai governi liberali. I contenuti e le modalità di questa propaganda furono ciò che più tenacemente e più consapevolmente i governi post-fascisti tentarono di combattere nella propria opera di riforma della diplomazia culturale. Pur continuando spesso a utilizzare gli stessi strumenti e persino lo stesso personale del periodo mussoliniano, essi si impegnarono a sostituire l’esportazione dei vecchi valori nazionalisti, imperialisti e fascisti con la trasmissione di valori propri a una media potenza pacifica e democratica e con una politica culturale aperta al dialogo e allo scambio. Tuttavia, come dimostrò la vicenda relativa alla richiesta di adesione e alla successiva, contrastata, ammissione dell’Italia all’Unesco (1947), questo nuovo indirizzo non fu soltanto frutto degli ideali democratici e universalistici propugnati dalla nuova classe dirigente italiana, ma anche riflesso di una condizione di debolezza internazionale e divisione interna che poteva trovare riscatto proprio a partire da una nuova concezione e da una nuova pratica di cooperazione culturale.Il volume, consigliabile per l’interesse del tema e per il modo in cui questo è trattato, ha, come principali difetti, quello di lasciare sullo sfondo il mondo culturale e intellettuale concentrandosi forse troppo sulle vicende politico-burocratiche e quello di trascurare episodi importanti come la partecipazione italiana alla Commissione culturale del Congresso dell’Europa dell’Aja (1948) e alle esperienze culturali che da questo Congresso originarono.

Simone Paoli