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Loreto Di Nucci – Nel cantiere dello Stato fascista, – 2008

Loreto Di Nucci
Roma, Carocci, 158 pp., euro 16,00

Anno di pubblicazione: 2008

Il saggio affronta diversi aspetti riconducibili ad alcune questioni problematiche dello Stato fascista. Come spiega l’a. la stessa scelta del titolo ha una duplice valenza. Da un lato essa «associa lo Stato fascista all’idea di un edificio totalitario in costruzione, in cui si sperimentano nuovi assetti istituzionali, nuove forme di organizzazione della società e nuove tecniche di mobilitazione politica, ma anche, quasi letteralmente, ad un cantiere edile in cui si ristruttura il volto architettonico-urbanistico delle città italiane» (p. 9); dall’altro essa rinvia ad un cantiere di ricerca. Tratta quindi: l’organizzazione periferica fascista (in specie soffermandosi sull’istituzione del podestà); la genesi e lo sviluppo della Facoltà fascista di Scienze politiche di Perugia e alcuni aspetti ad essa relativi (il percorso di Roberto Michels, noto docente della facoltà); le vicende di tre grandi famiglie (quelle di Claudio Treves, Luigi Albertini, Giuseppe Bottai) esemplificative, secondo l’a., della posizione della classe dirigente italiana.Il libro ruota attorno a due cardini concettuali. Il primo è quello del fascismo quale fenomeno rivoluzionario. L’a., infatti, affermando che si trattò di uno «Stato totalitario in costruzione» (p. 16) – che è comunque diverso dal dire che si trattò di un «totalitarismo imperfetto» -, sostiene con enfasi che esso fu un indiscutibile esperimento rivoluzionario. Tuttavia, e qui poggia la tesi più forte e molto discutibile del libro, si trattò, secondo l’a., di un esperimento rivoluzionario non «caratterizzato da quella radicalità coercitivo-terroristica che contraddistingue, negli stessi anni, il nazionalsocialismo e il bolscevismo» (p. 20). Tra gli argomenti che l’a. adduce a sostegno c’è ad esempio quello relativo alle vicende di Treves e dei suoi familiari, nei confronti dei quali il fascismo «non si accanì», e non utilizzò «né il terrore poliziesco, né l’arma del carcere duro» (p. 144).È indubbio che durante il fascismo vi furono trasformazioni importanti della società italiana (si è a lungo dibattuto in sede storiografica sulla modernizzazione del e nel fascismo), si pensi in questo senso alla nuova costituzione materiale rappresentata dal Partito fascista, o agli sviluppi del welfare. Tuttavia si trattò di trasformazioni che investirono tutto il contesto euro peo e alle quali il fascismo impresse un segno particolare destinato a durare nel tempo (quel particolarismo corporativo e categoriale diventato poi tipico delle politiche nazionali).Inoltre, non va dimenticato che il fascismo si avvalse spesso di uomini, culture e istituzioni del passato, distruggendo, selezionando e inquadrando, e che sua caratteristica imprescindibile fu quella distanza tra il piano della retorica e quello della realtà (rilevata da tempo da Louis Franck), necessaria ai fini della costruzione del consenso nella nuova società di massa degli anni ’30. Infine, ci si domanda se le pratiche di violenza interna o, ad esempio, proprie delle politiche coloniali del regime consentano davvero una così netta distinzione tra il fascismo italiano e il nazionalsocialismo tedesco, ossia tra due esperienze inclini a riconoscersi negli stessi elementi costitutivi.

Chiara Giorgi