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Luca Polese Remaggi – La democrazia divisa. Cultura e politica della sinistra democratica dal dopoguerra alle origini del centro-sinistra – 2011

Luca Polese Remaggi
Milano, Unicopli, 233 pp., Euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2011

Un’impressione ottima. Pagine dense e documentate, riflessioni mature e fedeli alla premessa: la sinistra democratica, studiata alle radici e poi nel contesto della guerra fredda, è un «mondo travagliato dal dilemma della distanza della democrazia rispetto al comunismo»(p. 7). Non sarei certo, come l’a., che il nocciolo del dilemma sia nel rapporto con De Gasperi, ritenuto il «grande interprete della democrazia come antirivoluzione» (p. 9); in tema di libertà e democrazia, molto pesa la sorte del fascismo che sopravvive nella continuità dello Stato e in funzione anticomunista. Se dai diversi «modi di essere nemici di Mussolini» di Amendola e Gobetti derivi un’idea di democrazia pensata o «in continuità col liberalismo» o «in relazione con la rivoluzione» (p. 11), non so; oggi, però, senza comunismo e minacce di rivoluzioni, il difficile rapporto tra democrazia e liberalismo è più attuale che mai. Al di là di queste riflessioni, che non sono riserve, la democrazia divisa di Polese Remaggi supera i consueti paradigmi interpretativi perché, mentre delinea con perizia i processi di formazione e i percorsi delle identità politiche e culturali dei democratici, sa metterli a confronto in una sintesi felice. Non c’è un dato ricostruito che non si inserisca nel quadro d’assieme. Il disegno delle «identità transitorie» al tempo della Costituente chiude il primo dei tre capitoli, ma ben si lega al successivo su terzaforzisti e socialisti autonomi e tutto sfocia con rigore nel capitolo che trova la sinistra al guado della crisi dell’atlantismo e si chiede se il ’56 fu «la grande occasione della sinistra democratica» (pp. 179 ss.). Certo, ho cercato Arfè, Bosio, Pirelli, ma non ci sono; c’è Panzieri, ma solo per un viaggio nella Cina di Mao (p. 152); sarebbero stati utili per ciò che significarono in campo democratico e utile sarebbe risultato chiarire fino in fondo che lo scontro tra «opposte retoriche della rivoluzione e del liberalismo» avviene in un paese dai tratti così autoritari, che tra il 1948 e il 1952 processa più di 15.000 oppositori politici e in piazza fa 65 morti contro i 3 della Francia e i 6 di Gran Bretagna e Germania. Non c’è dubbio, però: l’analisi degli snodi politici del ‘900, che fino alla Resistenza si combinano e poi, di fronte alla guerra fredda, si dividono – esemplare la vicenda azionista -, è rigorosa e coglie le cause reali del conflitto tra antifascismo e antitotalitarismo. L’a. registra segnali di «ricomposizione» nel passaggio tra centrismo e centrosinistra sotto bandiere antimonopoliste e antiautoritarie, ma osserva – ed è vero – che il passo tardivo non muta i connotati della Repubblica. Qui lo ferma il limite temporale del libro. Pensi a un secondo volume, in modo che il disegno della democrazia incompiuta non appaia un quadro d’autore della sola sinistra.

Giuseppe Aragno