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Lucia Vincenti Maggì – Non mi vedrai più. Persecuzioni, internamento e deportazione dei siciliani nei lager (1938-1945) – 2004

Lucia Vincenti Maggì
Catania, L’Almanacco editore, pp. 241, euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2004

Il libro si presenta con una ambizione di completezza rispetto al problema della persecuzione e deportazione nazista, solo che tale ambizione è commisurata alla realtà europea e non sempre tiene conto della realtà italiana, meno di quella siciliana pur citata nel sottotitolo. Sono presenti, infatti, capitoli specifici su aspetti pur importanti della storia delle persecuzioni e deportazioni in paesi, mettiamo, come la Germania o la Polonia, ma che interessano in piccolissima misura l’Italia e in nessuna la Sicilia. È il caso di un capitolo sui Testimoni di Geova, che si conclude con l’ammissione che solo tre furono i Testimoni deportati in tutta Italia e ?nessuno di essi era siciliano? (p. 29), così per il capitolo dedicato agli zingari, nel quale dopo una generica rappresentazione del caso europeo si dice che ?non sappiamo se e quanti zingari siciliani siano stati deportati. Al momento non ne risulta nessuno? (p. 45). Un altro capitolo è dedicato agli omosessuali, anche questa categoria presente nella deportazione europea, ma non in quella proveniente dalla Sicilia. In questo caso, però, l’autrice illustra un caso importante di persecuzione di omosessuali a Catania, già noto attraverso gli studi di Salvatore Carbone e ripreso dalla memorialistica locale. Segue il capitolo sugli ebrei; secondo la Vincenti ne sarebbero stati deportati 9, ma ottiene questa cifra mettendo in conto anche ebrei nativi e non residenti in Sicilia, o residenti per periodi più o meno lunghi. Dei nove ebrei contati dalla Vincenti fanno parte anche Mirta Albahari e Mirco Marincic, entrambi nati a Ragusa nel 1905 e nel 1915 e deportati a Dachau (pp. 83 e 85). Si tratta però della Ragusa adriatica meglio nota come Dubrovnik e non di quella iblea e siciliana. Un altro caso similmente trattato è quello di Ilias Androvizaneas, nativo di Lagada, nome attribuito a un centro della provincia di Messina, ma che forse è riferibile a una località dell’isola greca di Chios. In entrambi i casi l’autrice è indotta in errore dall’uso di una fonte molto importante come lo Jewisc Gen, ma che risulta troppo generica se non confrontata con fonti locali. La narrazione della Vincenti si snoda ancora per altri nove capitoli in cui vengono illustrati passaggi importanti della deportazione, ma sempre con una attenzione al dato generale e una minore messa a fuoco del caso siciliano. Sicuramente poco si dice di una categoria che invece è importante come quella degli internati militari siciliani, molti dei quali finirono in KZ. Del tutto assente è la categoria degli antifascisti e dei resistenti, che pure furono in molte migliaia, con una rappresentanza nella deportazione di oltre mezzo migliaio (cfr. G. D’Amico, I deportati di Sicilia, in «Meridiana», 1999, nn. 34-35, che è la prima anticipazione dei risultati di un’ampia ricerca). La deportazione dei resistenti viene rievocata e quasi mimetizzata sotto altri punti dello schema narrativo generale: il campo di Bolzano, il viaggio, i bambini nei lager. Vien da chiedersi il perché di una simile operazione che finisce per impoverire e banalizzare il dramma delle persecuzioni naziste e fasciste.

Rosario Mangiameli