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Luciano Marrocu – Theodor Mommsen nell’isola dei falsari. Storici e critica storica in Sardegna tra Ottocento e Novecento – 2009

Luciano Marrocu
Cagliari, Cuec, 140 pp., Euro 11,00

Anno di pubblicazione: 2009

Nel 1877, nel corso di un viaggio epigrafico in Sardegna, Theodor Mommsen avrebbe ancora polemizzato «contro ?l’erudita camorra” locale» (p. 63), inasprendo un giudizio già formulato nel 1870, quando aveva presieduto una commissione dell’Accademia delle scienze di Berlino incaricata di esaminare l’autenticità delle cosiddette, falsissime, Carte d’Arborea. La vicenda, già illustrata in molti suoi aspetti, è ripercorsa in questo volumetto, di gradevole lettura, che in realtà parla anche d’altro. Sono le condizioni materiali, sociali e istituzionali nelle quali il falso venne realizzato e accreditato ad essere messe in evidenza: oscuri percorsi di manoscritti, e dubbia attività di archivisti che potevano metter mano a materiali autentici per rendere più convincente la falsificazione; «bisogno» di quelle rivelazioni documentarie, che avrebbero consentito una riscrittura del Medioevo sardo, come «risposta alle insufficienze della tradizione storiografica» (pp. 51-52), e come prova di antichi legami con la nascente cultura nazionale, che sarebbero stati così attestati dall’«esistenza in Sardegna di una produzione letteraria in italiano già nella seconda metà Trecento» (pp. 19-20); rivendicazione di un ruolo e ricerca di riconoscimento da parte dei centri culturali di riferimento, in primo luogo Torino. Ed è proprio nell’illustrazione dello scarto, fissato in quei decenni, «tra culture egemoniche, standardizzate, sostenute centralmente da un apparato statale, e culture periferiche forti solamente di una pratica quotidiana in larga misura irriflessa» (p. 52), che il volume affronta questioni di carattere generale, riconducibili al tema della professionalizzazione ottocentesca degli studi storici; scarto che separava la Sardegna da Torino, ma anche Torino da Berlino – e tuttavia non sempre i dotti tedeschi ebbero allora ragione, come nel caso famoso relativo a Dino Compagni. Falsi paleografici e culturali, ed esempio della verità del falso, le Carte d’Arborea rendono largamente l’«immagine di sé dei ceti colti» (p. 51) sardi a metà ‘800, ma producono anche reazioni che documentano una precisa concezione tecnica ed etica della critica storica, gli «stili di pensiero» (p. 76) di una comunità scientifica che ha individuato fra i suoi compiti istituzionali la depurazione delle fonti, che diffida di scoperte sorprendenti, e che rivolge lo strumento della critica contemporaneamente contro la passiva ricezione della tradizione e contro il falso.Non solo carte medievali; anche canti popolari e idoli pagani entrano a far parte della galleria dei falsi sardi; questi ultimi sfrattati dal Museo di Cagliari dal neodirettore Ettore Pais, del quale si segue poi brevemente la vicenda intellettuale dalla «scuola storica» e dall’ipercritica all’adesione ai miti fascisti della romanità. Sullo sfondo, la circolazione di uomini e idee in Sardegna nel quadro della lenta organizzazione di un sistema scolastico e universitario nazionale, che segna il tramonto del mondo di cultura all’interno del quale le Carte erano state prodotte.

Mauro Moretti