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Luciano Martone – Giustizia coloniale. Modelli e prassi penale per i sudditi d’Africa dall’età giolittiana al fascismo – 2002

Luciano Martone
Presentazione di Alessandro Triulzi, Napoli, Jovene, pp. 390, s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2002

Non desta meraviglia che questo volume non abbia scalato le classifiche dei libri più venduti: in parte l’oggetto di studio e in parte l’approccio dell’autore lo rendono molto specialistico. Luciano Martone, studioso napoletano di storia del diritto, evidentemente non si è proposto un best seller, ma un accurato e rigoroso studio che riprende un’antica tradizione da tempo poco frequentata. Dal dopoguerra sono infatti pochi gli studiosi che si sono cimentati sulle problematiche del diritto coloniale italiano: nello scarno panorama si possono ricordare, a partire dagli anni Ottanta, il bel lavoro di Cianferotti sui giuristi di fronte all’impresa di Tripoli (Milano 1984) e, da diversi angoli visuali, i contributi di Saraceno (1986), Sagù (1986, 1988), Ghisalberti (1990) e Capuzzo (1995, 1996, 1997), tutti ospitati dalla rivista ?Clio?. Una scarsa attenzione che trae origine da quella rimozione della questione coloniale italiana all’interno della quale si inscrive anche l’abolizione nel 1960 degli insegnamenti universitari ?coloniali?, a cui fa cenno Alessandro Triulzi nella Presentazione del volume.
Martone propone uno sguardo approfondito sulla storia della giustizia penale italiana in Africa affrontando in primo luogo il dibattito sui modelli giurisprudenziali, a partire da quello sull’applicabilità in colonia del codice Zanardelli; analizzando l’esercizio concreto della giustizia penale attraverso le fonti archivistiche, le discussioni teoriche, l’attività legislativa; verificando la prassi amministrativa in relazione ai sistemi giuridici indigeni; leggendo infine le sentenze dei giudici italiani da cui trae gli elementi per una disamina delle forme di criminalità d’oltremare e della giurisprudenza coloniale. Ne esce un quadro complesso in cui si evidenziano gli elementi di conflittualità, in primo luogo tra la magistratura ordinaria e l’amministrazione coloniale, e le contraddizioni di una prestigiosa tradizione giuridica incapace di garantire in ambito coloniale la certezza del diritto.
Il piano del discorso rimane sostanzialmente e coerentemente quello della dottrina, raramente si interagisce con l’orizzonte del sistema politico e culturale in cui linguaggi, simboli e categorie concettuali si possono collocare. Tuttavia il discorso giuridico offre elementi decisivi per evidenziare i caratteri dell’ideologia colonizzatrice che, nella fattispecie della norma e della prassi, si intendeva trasmettere e imporre. Rappresenta inoltre un interessante capitolo per la ricostruzione di quei percorsi di professionalità che, a dispetto della vulgata ?retorico-passionale?, caratterizzano l’imperialismo italiano.
Qualche perplessità sulla scelta di separare i temi che costringe il lettore a tornare ogni volta indietro nel tempo, qualche dubbio sull’utilità di un apparato di note talvolta eccessivo e dispersivo. Perplessità e dubbi che non mettono in discussione la qualità di un testo la cui lettura, di grande interesse, avrei probabilmente, e scioccamente, evitato se non fosse per la proposta di compilare questa breve scheda e per il mio ardire di accettare.

Giancarlo Monina