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Luciano Monzali – Italiani di Dalmazia. Dal Risorgimento alla Grande Guerra – 2004

Luciano Monzali
Firenze, Le Lettere, pp. 334, euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2004

Il saggio di Monzali occupa un vuoto storiografico. La Dalmazia è un ?non luogo? della storiografia italiana, e rimanda alla difficoltà di misurarsi con aree su cui hanno a lungo dominato una retorica nazionalista o una prospettiva ristretta (eccezione fanno gli studi sull’espansione imperialista italiana nella seconda guerra mondiale). Oltre a un vasto apparato di fonti (prevalgono quelle del Ministero degli Affari Esteri), pregio del libro è di fare riferimento sia alla storiografia austriaca e tedesca che a quella jugoslava e croata, anche se manca la volontà di interagire con le diverse posizioni storiografiche. Manca quindi un confronto con il recente lavoro di Josip Vrande?i? incentrato, come questo volume, sulla vicenda degli autonomisti dalmati, difensori della cultura italiana in Dalmazia. L’altro tema di questo volume sono le relazioni italo-austriache. È una forte qualità del saggio di Monzali quella di giocare sul piano dei rapporti internazionali, su un livello di politica interna asburgica e sul piano locale delle relazioni tra leader, partiti e aggregazioni politiche in Dalmazia. Tuttavia, la scelta di trattare le questioni di politica estera in paragrafi separati, anche se permette utili approfondimenti, fa a volte smarrire la trama dei temi sollevati.
Il libro si concentra sul periodo di apertura costituzionale asburgica, con il passaggio da una situazione di obiettivo vantaggio politico per la minoranza italiana, che attraverso il Partito autonomista riesce a mantenere un peso politico sproporzionato rispetto alla sua componente demografica assai ristretta, a una situazione di svantaggio e di progressiva emarginazione. Monzali parla anche di ?snazionalizzazione? nei confronti degli italiani dalmati, anche se il problema sembra essere più quello di una perdita di egemonia linguistica e culturale. L’indisponibilità croata verso la parità linguistica italo-croata e l’ostilità verso le scuole e i ginnasi italiani da parte delle amministrazioni provinciali e comunali (un tempo appannaggio degli autonomisti) va anche paragonata e collegata alla forte opposizione che i partiti liberali italiani a Trieste e in Istria opponevano alle scuole slovene e croate e al riconoscimento ufficiale delle due lingue slave. Il Partito autonomista si lega col tempo ai partiti italiani di Trieste e Istria (scegliendo nel 1915 anche l’irredentismo), pur non essendo nato come partito italiano, ma come espressione di un municipalismo appoggiato da diverse componenti etniche e nazionali.
La scelta più decisamente italiana degli autonomisti dipende dalla nascita dei movimenti nazionali ?panserbo? e ?pancroato?. L’impiego di questi aggettivi al posto di serbo e croato appare problematico, come anche il ricorso alla categoria dell’italofobia o l’idea che l’attacco ai diritti linguistici italiani possa essere letto come ?oppressione?. Sono toni che rimandano a dei limiti che pesano ancora in molta storiografia croata e italiana sull’Adriatico orientale. Avrebbe meritato una spiegazione e un approfondimento anche il termine ?italofili? (utilizzato in coppia con italiani), proprio in quanto l’autore sostiene che l’appartenenza nazionale sia legata a una scelta.

Vanni D’Alessio