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Luigi Gratton – Armando Diaz Duca della Vittoria. Da Caporetto a Vittorio Veneto – 2001

Luigi Gratton
Foggia, Bastogi, pp. 398, euro 18,08

Anno di pubblicazione: 2001

Il genere della biografia militare ha sempre avuto un destino controverso in Italia. Da un lato abbondano le agiografie dei ?grandi comandanti? (in special modo della prima guerra mondiale), dall’altro possediamo ben pochi studi seriamente documentati e argomentati sui personaggi di spicco delle forze armate unitarie. Il caso di Armando Diaz non si sottrae alla regola, benché possa sembrare strano parlando dell’unico generale italiano ad aver condotto l’esercito unitario alla vittoria. In sostanza, gli unici contributi accettabili alla conoscenza di Diaz rimangono quello di Rochat per il Dizionario Biografico degli Italiani e un recente saggio archivistico di Antonio Sema. Il volume di Luigi Gratton si presenta come il tentativo di ovviare a questa dimenticanza, nella convinzione che ?esistono ancora recessi inesplorati, angoli bui, spazi non sempre ben illuminati, forse dei pregiudizi che sinora non hanno consentito di sbalzare questo personaggio nel rilievo che gli è dovuto? (p. 19). Già da questa dichiarazione di intenti, però, traspaiono i due primi grandi difetti del libro: il tono enfaticamente retorico, fino ad essere irritante, con cui gli eventi e il personaggio vengono illustrati e la difesa a spada tratta, fino all’ingenuità, di Diaz e delle sue scelte. Non c’è pagina in cui non si sottolinei che il generale ha ?bene meritato alla Patria?, che le ?patriottiche premure? nei suoi confronti sono d’obbligo, fino ad appropriarsi delle parole di elogio funebre pronunciate da Cavallero per le esequie del Duca della Vittoria (le cui spoglie, si preme di sottolineare, sono esposte al ?reverente omaggio del Popolo italiano?). Non c’è, ovviamente, nulla di male ad identificarsi con il protagonista della propria ricerca ? specie se l’autore è a sua volta un generale in congedo ? ma è perlomeno da chiedersi se queste profferte di ossequio non alterino la prospettiva del lavoro. E poi: la biografia di Gratton apporta pochissime conoscenze originali. Gran parte delle sue pagine sono un collage di citazioni, a volte anche ricercate, ma ben poco arricchite da un’importante documentazione originale, nonostante l’autore abbia avuto il merito o la fortuna di poter accedere alle carte dell’archivio personale custodite dal nipote del generale. O dalle carte personali, come è probabile, non traspaiono fatti di sensazionale novità, o l’uso che ne è stato fatto è quantomeno discutibile, tanto da rendere incomprensibile il giudizio di Aldo Mola, in sede di Prefazione, secondo cui queste pagine sono il risultato di una pregevole fusione ?tra saggistica, memorialistica e fonti inedite? (p. 16). Cosa sappiamo di nuovo di Armando Diaz dopo aver letto queste pagine? Importa veramente, di fronte a più pressanti interrogativi della storia militare italiana, conoscere meglio il profilo psicologico e privato di uno dei più influenti uomini del primo dopoguerra? O non sarebbe stato meglio tralasciare il bozzetto di carattere (?modestia e vanagloria?, ?sicurezza ed ansietà?, ?fermezza ed indecisione?, ?la ponderata audacia?, pp. 320-4) e concentrarsi, avendo il materiale e la possibilità di farlo, sul Diaz politico, personaggio chiave tra la monarchia e l’esercito? C’è un errore di prospettiva alla base di questo lavoro, che si può senza dubbio considerare un’occasione perduta.

Marco Mondini