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Luigi Piccioni – Il volto amato della Patria. Il primo movimento per la protezione della natura in Italia, 1880-1934 – 1999

Luigi Piccioni
Università degli Studi, Camerino

Anno di pubblicazione: 1999

Anche in Italia, come negli Stati Uniti e in altri paesi europei, i movimenti di protezione e conservazione della natura ebbero la propria età di fondazione nei decenni a cavallo dei secoli XIX e XX. Della vicenda nazionale si dà qui una accurata, appassionata e insieme critica ricostruzione, sulla base di una certa documentazione d’archivio, della ampia conoscenza della ricca ma dispersa pubblicistica (periodica e non) che quel movimento produsse, del contesto internazionale in cui quello si inseriva, nonché della ormai consistente storiografia su esso esistente. Nel solco aperto da alcuni precursori, il protezionismo naturalistico intese farsi movimento d’opinione nei primi due decenni del secolo: animato da tre diverse e solo in parte convergenti ispirazioni (la naturalistico-scientifica, la artistico-patriottica, la turistico-modernizzatrice), esso promanò da varie associazioni e sodalizi (dalle società scientifiche al Club Alpino, dall’Associazione per i paesaggi e monumenti pittoreschi alla Pro montibus et silvis) si dotò di riviste specializzate e, infine, si coagulò in organismi (come il Comitato nazionale per la difesa del paesaggio e dei monumenti italici, fondato nel 1913 allo scopo di sollecitare in varie forme adeguate iniziative parlamentari). Pur senza acquisire l’ambito largo consenso dell’opinione pubblica, il movimento protezionista espresse sensibilità e preoccupazioni fortemente radicate nella cultura, genericamente antipositivistica, del proprio tempo, reattiva agli effetti reali o paventati dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione. Come l’a. illustra con efficacia, nel movimento esisteva una sotterranea e, talora, aperta competizione tra due anime: il protezionismo prettamente naturalistico, preoccupato della sopravvivenza di specie animali e vegetali e dei loro habitat, e quello estetico-patriottico, più teso a valorizzare i manufatti storici e i paesaggi che parevano incarnare l’identità nazionale. Quella rivalità non impedì, comunque, di raggiungere rilevanti risultati: la legge protettive della Pineta di Ravenna (1905) e dei monumenti culturali (1909), e, dopo il conflitto mondiale, la legge sulla tutela del paesaggio e l’istituzione dei parchi nazionali del Gran Paradiso e d’Abruzzo. Successi frutto del radicamento che il protezionismo aveva acquisito, ben più che nell’opinione pubblica, in alcuni settori ristretti ma assai influenti dell’establishment politico-istituzionale e, particolarmente, in quegli ambienti della “burocrazia tecnica” di orientamento democratico liberale, tra Giolitti e Nitti, che influenzava le amministrazioni deputate alla tutela delle “Antichità e Belle Arti” e del patrimonio forestale. Non a torto, l’a. indica nell’indebolimento della componente “scientifica” e “civile” del movimento – preludio della burocratizzazione dell’intero progetto conservazionista attuata dal fascismo – il segno dell’esaurirsi del primo protezionismo italiano e la causa indiretta della sua tardiva ripresa postbellica.

Simone Neri Serneri