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Lynn Hunt – La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo – 2010

Lynn Hunt
Roma-Bari, Laterza, 235 pp., Euro 20,00 (ed. or. New York, 2007)

Anno di pubblicazione: 2010

Nella crescente massa di libri e articoli sul tema dei diritti umani che dalla metà degli anni ’90 si va accumulando sugli scaffali delle biblioteche e riempie il dibattito delle riviste accademiche (vedi in questo stesso numero i saggi di Bradley e Sargent e il forum sul libro di Moyn), questo libro di Lynn Hunt si distingue ancor più che per il suo contenuto per il suo approccio. Hunt infatti sposta ulteriormente la frontiera dei cultural studies, alla ricerca di qualcosa che li porti fuori dalla crisi in cui anch’essi sono entrati, portandola nei territori della psicologia e delle neuroscienze.L’«invenzione» dei diritti umani, come recita il titolo originale, si compie nella seconda metà del ‘700, in coincidenza con le due grandi rivoluzioni americana e francese. E fin qui niente di nuovo. La novità però c’è e risiede nella spiegazione. I diritti umani o, più precisamente, il linguaggio dei diritti umani, sarebbe, secondo Hunt, l’esito di profonde mutazioni emotive e della sensibilità che si sarebbero riverberate anche sulla sfera biologica. In particolare, la lettura di romanzi come Pamela o Clarissa di Richardson o Giulia o la nuova Eloisa di Rousseau avrebbe provocato «effetti fisici che si sono tradotti in modificazioni cerebrali per poi ripresentarsi come nuove idee in merito all’organizzazione della vita sociale e politica» (p. 18).Le parole chiave che spiegano la nascita del linguaggio dei diritti umani sono autonomia ma soprattutto empatia (non a caso enfatizzata nel titolo dell’edizione italiana). Perché i dritti umani possano emergere bisogna che il popolo si percepisca come un insieme di individui separati capaci di esercitare un giudizio morale indipendente; e perché questi individui autonomi diventino membri di una comunità politica basata su quei giudizi morali indipendenti, c’è bisogno che siano in grado di provare reciprocamente empatia. Insomma, bisogna riuscire a percepire e vedere l’altro come proprio simile per concepire la nozione di diritto umano, che, dice ancora Hunt, è una nozione auto-evidente. Autonomia, emozioni, empatia prodotte dalla lettura dei romanzi, da una nuova concezione del corpo, dalla sentimentalizzazione dei rapporti familiari avrebbero dunque ispirato la stesura della Dichiarazione d’indipendenza americana (1776) e della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789) e la nascita di un’opinione pubblica contraria alla tortura e che aborriva la schiavitù.Quattro dei cinque capitoli di cui il libro si compone sono impegnati a spiegare l’emergere del linguaggio dei diritti umani negli anni delle due rivoluzioni. L’ultimo capitolo del libro traccia in trenta pagine la storia dei diritti umani dalla Rivoluzione francese alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948). E qui, Hunt per spiegare perché i diritti umani e il suo linguaggio si siano inabissati è «costretta» a rimettere dentro la politica e la società. A prosciugare i torrenti di emozioni provvedono la nazione, il nazionalismo, l’etnicità, il socialismo, il comunismo, le guerre. L’empatia può forse far emergere un linguaggio, ma non «assicurare che gli esseri umani agiscano sulla base di questo sentimento» (p. 172).

Daniela Luigia Caglioti