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Marcella Marmo, Luigi Musella (a cura di) – La costruzione della verità giudiziaria – 2003

Marcella Marmo, Luigi Musella (a cura di)
Napoli, Cliopress, pp. 247, euro 13,00

Anno di pubblicazione: 2003

Gli storici dell’Italia contemporanea sono scarsamente interessati alle ricerche di storia penale e, con l’eccezione della storia della criminalità e del ?disciplinamento? sociale, frequentano poco le fonti giudiziarie. Paradossalmente il processo penale risulta poco studiato anche dagli storici del diritto. Questa doppia lacuna ha fatto maturare l’esigenza di mettere a fuoco un oggetto così ?intriso di politica?, per la compresenza attorno ad esso di due ?ordini di verità?, quella giudiziaria e quella storico-politica. La contraddittoria trasformazione del processo inquisitorio nel modello accusatorio fu avviata dal Codice leopoldino, poi dai decreti della Francia rivoluzionaria, infine sancita dalla codificazione penale napoleonica. S’impose in Francia il ?processo misto? (sdoppiamento del giudizio penale in una fase istruttoria segreta e una dibattimentale, aperta ai diritti della difesa), protrattosi in Italia sino alla riforma del Codice di procedura penale del 1989 e alla ricerca del ?giusto processo?, senza porre fine al braccio di ferro tra magistratura e politica (Giorgia Alessi).
L’imprevista fortuna editoriale di pubblicazioni di ?cause celebri? nella Francia di metà Settecento, che godettero di crescente successo di pubblico e di tirature strabilianti, crea uno spazio letterario dove l’opinione pubblica si esercita nella discussione politica. L’accanita discussione sui processi celebri trasformò i lettori delle novelle giudiziarie in opinione pubblica sulla giustizia, mise in evidenza i difetti del regime vigente e contribuì a coagulare la critica verso le istituzioni (Aldo Mazzacane). La forte coloritura politica e il ruolo dell’opinione pubblica, nella Napoli di primo Novecento, caratterizzano ugualmente il processo Cuocolo per un omicidio di camorra, impostato dai giudici secondo il paradigma associativo con marcate forzature probatorie, alimentato dal conflitto tra polizia e carabinieri, da quello interno alle istituzioni giudiziarie e da imponenti campagne di stampa (Marcella Marmo). Dalla sentenza del processo contro Giulio Andreotti, emerge la contraddizione tra la documentazione raccolta dai giudici e le conclusioni assolutorie (Nicola Tranfaglia). L’identificazione di Andreotti con il discredito della Prima Repubblica inserisce il processo nel dibattito sulla storia d’Italia come disvelamento della faccia occulta della democrazia e delle complicità criminali dell’élite al potere. La confusione tra questione politica e questione giudiziaria fa risiedere la legittimità dei giudizi politici nella ratifica in sede penale (Jean Louis Briquet). Nessuna intenzionalità dei magistrati palermitani nel caso Andreotti, né nei processi per la Tangentopoli napoletana, dove i soggetti coinvolti ? politici, imprenditori, magistrati ? partecipano attivamente alla ricostruzione dei fatti che, nel corso del processo, conducono a scelte, selezioni e interscambi significativi, ma del tutto ?spontanei? e talvolta persino frutto di ?improvvisazione? giudiziaria (Luigi Musella).
Come districare il viluppo di politica, opinione pubblica e magistratura attorno al giusto processo resta per il lettore un quesito insoluto.

Giovanna Fiume