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Marcello Verga – Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI – 2004

Marcello Verga
Roma, Carocci, pp. 222, euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2004

Marcello Verga è studioso soprattutto del Settecento e degli Stati italiani, con una solida formazione di storico delle idee. Si cimenta qui in un saggio di storia della storiografia che ha come tema la costruzione dell’idea d’Europa, il suo uso pubblico, particolarmente il posto degli storici in questa grande operazione culturale, nell’arco degli ultimi tre secoli. Ben lungi che in una semplice rassegna, l’autore si impegna in un’operazione storiografica approfondita e concettualmente intensa, col pregio aggiuntivo della densità e concisione.
Il lavoro si articola in tre capitoli. Nel primo si ripercorrono il Settecento e l’Ottocento, da Montesquieu e Voltaire a Ferguson, Hume, Robertson e Gibbon, fino a Guizot e a Burckhardt, per delineare una classica idea di Europa contenuta nel triangolo Francia, Inghilterra e Germania: una composita e plurale repubblica di nazioni, di città, di libertà, di progresso borghese. Il secondo capitolo affronta la grande crisi della coscienza europea costituita dalle due guerre mondiali, da Pirenne a Croce, a Chabod, quando la frattura con la Germania si traduce in una riduzione del continente alla sua propaggine occidentale. Si acuisce così il problema dei confini dell’Europa stessa, nonché la sua diversità dal proprio oriente: l’Europa orientale, la Mitteleuropa. Era l’epoca tragica in cui Marc Bloch definiva addirittura l’Europa ?una nozione di crisi; una nozione di panico? (cit. a p. 88).
Con Lucien Febvre si apre il terzo capitolo, dedicato al passaggio Dall’Europa atlantica alle ?radici? dell’Unione europea. Con la guerra fredda, al di là del drammatico confine orientale dall’Elba all’Adriatico, l’identità di un’Europa centro-orientale estranea a Carlomagno e a Carlo V diventa per decenni un problema storiografico che Verga segue con competenza anche nella produzione polacca o ungherese. Viceversa, dall’affermarsi dell’unità europea e negli anni intorno alla caduta del muro di Berlino si costruisce una spinta riunificatrice ma gerarchizzata, ?europeanly correct? (p. 154): un lavoro di manuali, musei, di costruzione plurale ma condivisa delle radici. Jacques Le Goff è indicato come il principale riferimento e costruttore di questo più recente uso pubblico: una ricostruzione parziale basata sulla presunta nascita medievale e in definitiva cristiana, che rimanda alla discussione sulle radici da includere o meno nella costituzione dell’Unione. In qualche modo di nuovo una storia inglese, francese, tedesca, in parte spagnola, e in parte italiana, da cui rimangono praticamente fuori molte altre importanti tradizioni, sottostimate.
Verga si pronuncia chiaramente a favore di un’Europa plurale, inclusiva dei suoi mezzogiorni e orienti. Prima ancora che gli storici venissero reclutati nell’operazione di ridefinizione condivisa, c’era già chi pensava l’Europa unita con i suoi centri e periferie, secondo una griglia gerarchica già alquanto determinata. Si potrebbe imputare alle argomentazioni di Verga un carattere ideologico contrapposto all’operazione capeggiata da Le Goff, e altrettanto discutibile. A me pare comunque un’utile e informata apertura di attenzione ad uno dei patrimoni più rilevanti di noi europei: il pluralismo.

Paolo Viola