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Marcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone

Toni Ricciardi
Con un capitolo di Annacarla Valeriano sulla tragedia tra cronaca, documenti e immagini, Roma, Donzelli, XVI-175 pp., € 24,00

Anno di pubblicazione: 2016

vicenda della «catastrofe degli italiani all’estero» per antonomasia, la più nota e ricordata:
«Non fu la prima né l’ultima, né quella con il maggior numero di vittime italiane, ma
rappresenta probabilmente il punto di non ritorno, uno dei tasselli più dolorosi del variegato
mosaico della migrazione italiana nel mondo» (p. XII). Ciò anche per il contributo
fondamentale dei mezzi di comunicazione dell’epoca nel traslare la memoria e il dolore
dei parenti dalla sfera privata a quella collettiva, quale patrimonio di un’intera comunità
nazionale. Nel suo percorso, l’a. ripercorre brevemente le tappe della storia dell’emigrazione
italiana «di Stato», con particolare attenzione al periodo coloniale e fascista, fino a
giungere agli accordi italo-belgi del 1946 sullo scambio tra braccia e carbone per il fabbisogno
della ricostruzione postbellica del paese.
Tali accordi, avallati da tutte le forze politiche presenti in Assemblea costituente,
riproposero sostanzialmente le linee di politica migratoria precedenti, e impegnarono
l’Italia a fornire in media duemila minatori a settimana ai bacini carboniferi del Belgio.
Le condizioni di vita per i manovali si rivelarono subito molto dure. Gli alloggi vennero
spesso ricavati negli ex campi di concentramento per prigionieri di guerra, appositamente
mantenuti aperti dopo la fine del conflitto. L’esercizio di attività politiche o sindacali
fu interdetto. L’incidenza di infortuni sul lavoro, spesso provocati da scarsa nutrizione
o debilitazione fisica, risultò altissima, tanto più in impianti desueti e privi di qualsiasi
innovazione in materia di sicurezza, mantenuti sul mercato solo grazie allo sfruttamento
di manodopera a basso costo.
A tutto ciò si aggiunse l’impatto devastante del lavoro sotterraneo su contadini prevalentemente
veneti o meridionali, abituati sì alla dura fatica, ma all’aria aperta: più di
uno su quattro fra loro chiedeva il rimpatrio immediato dopo la prima discesa in profondità.
Le autorità belghe rispondevano con l’incarcerazione dei «renitenti alla mina»,
nel sostanziale e prolungato silenzio delle autorità italiane sulle condizioni di vita dei
connazionali (pp. 82-84).
Il libro comprende anche un ampio capitolo di Annacarla Valeriano (pp. 107-138)
sulle memorie dei superstiti e dei parenti delle vittime provenienti dalla zona della Maiella,
che contò 60 morti (23 dei quali dal solo comune di Manoppello) sui 136 italiani
dei 262 totali, e si appoggia su fonti documentarie – per esempio le carte del Ministero
del Lavoro conservate all’Archivio centrale dello Stato – nonché sull’analisi delle modalità
comunicative della stampa coeva e, infine, su testimonianze orali. Si configura come
un’opera chiara e sintetica, destinata a un pubblico vasto senza per questo sacrificare il
rigore scientifico, e pone elementi di riflessione profondi e toccanti anche sulle vicende
del presente

 Bruno Ziglioli