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Margherita Angelini – Transmitting Knowledge: the Professionalisation of Italian Historians (1920s-1950s) – 2010

Margherita Angelini
«Storia della storiografia», 57 (2010), 174 pp., s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2010

Pur se si presenta più esteso, il centro della ricerca va dal 1925 al 1945, con una scansione in tre tempi. In un primo momento, il fascismo si sovrappose allo sconfitto Stato liberale e ne stravolse le istituzioni; alla metà degli anni ’30 lo Stato si sentì tanto forte da tentare la carta, fino ad allora preclusa, della politica della grande potenza. Si puntò all’espansione nel Mediterraneo, cercando di salvaguardare la tradizione dell’unità europea. Il forte consenso nazionale che si riversò sulla politica «imperiale» fu condiviso dalla comunità degli storici, qui ricondotta al gruppo di giovani che seguì Volpe negli anni ’30 – Momigliano, Morandi, Cantimori, Sestan, Chabod, che pure ebbero differenze qui non sempre sottolineate.La ricostruzione dell’avvento del totalitarismo nell’organizzazione degli studi storici e della sua crisi costituisce è condotta sul duplice registro della storia delle idee e della sociologia della cultura, ma con una netta prevalenza del secondo. Nel 1935 i cinque maggiori istituti storici – per l’Antichità, il Medioevo, il Risorgimento, l’Età moderna e contemporanea, la numismatica – e numerosi altri specializzati nella storia extraeuropea furono sottoposti alla Giunta centrale degli studi storici. Questo organo agiva in piena osmosi con il governo. Al fascismo riuscì quindi una forte centralizzazione, come traspare anche dalla riorganizzazione delle relazioni con le Deputazioni di storia patria, delle quali si controllò il localismo. A questa centralizzazione politica e ideologica si unì l’attenzione per il rafforzamento disciplinare, perseguito sia attraverso la costituzione di Scuole aggregate agli Istituti, sia attraverso la ricerca di contatti internazionali, sempre negandone l’autonomia.L’adesione di quegli storici alla politica fascista durò pressoché inalterata fino il ’42; poi si incrinò. Lo sfaldamento si ebbe a partire dal luglio ’43. Ci fu chi, come Maturi scelse di mantenersi fedele alla storia, «in sé e per sé, disinteressatamente»; chi, come Chabod, entrò nella Resistenza. Secondo l’a. tutti, distaccandosi dal maestro e dal fascismo, cercarono nuove idee e nuovi linguaggi per pensare la tragica crisi del presente e la possibilità della rinascita da dentro la dissoluzione del fascismo. Si può però notare che, in larga misura, quel linguaggio fu invece quello della cultura e della storiografia dell’opposizione, qui del tutto ignorata, pure se in quel ventennio aveva prodotto opere di grande prestigio e autentico modello per il mestiere di storico. Noto è il dialogo tra Cantimori e Franco Venturi; e le parole con cui, presumibilmente nel ’45, Morandi discusse «la moderna mitologia che ha obnubilato l’orizzonte», echeggiano in modo impressionante concetti e espressioni di Omodeo – per tacere di Croce. Ed è ben significativo che Chabod abbia accettato di dirigere l’Istituto italiano degli studi storici, nel quale Croce aveva riaffermato l’autonomia della cultura.

Girolamo Imbruglia