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Maria Donzelli, Regina Pozzi (a cura di) – Patologie della politica. Crisi e critica della democrazia tra Otto e Novecento – 2003

Maria Donzelli, Regina Pozzi (a cura di)
Roma, Donzelli, pp. 435, euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2003

Il finanziamento alla ricerca impone oggi criteri di maggiore e più rapida produttività. Ne risultano spesso volumi collettanei che come questo raccolgono i materiali di incontri di studio informando del procedere della ricerca in maniera tempestiva anche se un po’ intermittente e antologica. I 26 saggi del volume ? estensione media 15 pagine ? lanciano rapidi sprazzi di luce di un panorama tra i più frastagliati del pensiero politico e dell’esperienza storica contemporanei. L’intermittenza giova, essendo la democrazia dei moderni, più che una istituzione, un campo di tensione mosso da continue sperimentazioni e da inarrestabili contorsioni analitiche, oltre che da arricchimento civile e da collettive tragedie esistenziali. La incoerenza tra principi egualitari e realtà sociali fa sì che il pensiero più penetrante sia quello antidemocratico, o meglio la ?patologia? che da due secoli agita il campo dall’interno e le demistificazioni che l’erodono dall’esterno. L’indice segue appunto questa bipartizione, distinguendo poi le critiche ?esterne? a seconda che siano di matrice sociologica (o sociocratica, per dirla con Comte) biologico-naturalistica (e dunque organicistica), oppure ispirate all’idea comunitaria o alla sociologia del sacro. In vario modo, in tutte queste prospettive l’universalismo individualistico si scontra con la dimensione collettiva/comunitaria, e l’eguaglianza formale si rivela irreale, o perniciosa.
Le curatrici dichiarano d’aver assunto come punto d’osservazione gli anni Trenta del ?900, forse per collocarsi nel buco nero della maggior tragedia antidemocratica. A me sembra invece che gli autori abbiano spesso a mente le più recenti congiunture postdemocratiche, e che da lì riguardino soprattutto i classici di primo ?800, e dunque i francesi (per fare un esempio: Sbarberi legge Condorcet pensando al ?dispotismo postdemocratico?). Il che a mio parere rende ancor più stimolante perché più problematica e attuale la ricca serie di spunti, precisazioni, ipotesi di lettura che percorre il libro. Certo, il richiamo alla Arendt è continuo, e ricorrente il tema dell’intriseca violenza e del dispotismo che segnano l’egualitarismo democratico, ma il fulcro del discorso non è quello, e nemmeno il ricco pensiero antidemocratico di fine ?800 (degli elitisti sa parla poco o nulla, del pensiero cattolico nulla affatto). Tra tutti domina semmai il riferimento a Toqueville, e dopo di lui a Montesquieu, a Rousseau, a Constant, e così via. In questo campo lungo spaziano i 26 ? diciamone almeno i nomi: M. Battini, J. Benoist, A. Besussi, G. Bonaiuti, J.-F. Braunstein, S. Caianiello, B. Casalini, C. Cassina, F. Ciarleglio, S. Cingari, V. Collina, E. D’Antuono, C. De Boni, M. Del Braccio, M. Donzelli, F. Fusillo, F. Izzo, B. Karsenti, A. Kremer-Marietti, B. Magni, G. Magrin, P.P. Portinaro, R. Pozzi, R. Ragghianti, J. Salem, F. Sbarberi. Sono storici del pensiero e filosofi, e alternano analisi testuali ? il riferimento al linguistic turn è obbligato, ma non necessario ? e altre piuttosto processuali e contestuali a tendenza storica, per lo più studiando singoli autori (ai già citati si aggiungano Gramsci e Groethusyen, Lombroso, Jaspers e Maurras, e così via seguitando).

Raffaele Romanelli