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Maria Giovanna Sarti – Il restauro dei dipinti a Venezia alla fine dell’Ottocento. L’attività di Guglielmo Botti – 2004

Maria Giovanna Sarti
Venezia, Istituto veneto di scienze lettere ed arti, pp. 336, euro 26,00

Anno di pubblicazione: 2004

Attraverso la biografia di un uomo, Guglielmo Botti, e le vicende di alcuni restauri veneziani, l’a. offre uno spaccato interessante del settore della tutela storico-artistica di fine ‘800, di cui vengono interpretate difficoltà e contraddizioni. L’analisi investe modalità e caratteri degli interventi, figure e saperi coinvolti, interazioni tra istituzioni di varia natura, all’interno della dicotomia centro/periferia che segnò profondamente la nascita e lo sviluppo del sistema nazionale di conservazione. Un sistema che prese le mosse proprio dal ?contrasto tra un mondo chiuso in se stesso [?] e l’irrompere dello Stato, con le esigenze della tutela e il suo centralismo? (p. 28).
Partendo dal restauro di singole opere, il Martirio di San Lorenzo di Tiziano e La salita al Calvario di Tiepolo, l’a. affronta i problemi e le questioni che interessarono gli interventi, riconducendo l’analisi ad alcuni temi centrali. Innanzitutto, lo scarto tra il desiderio delle istituzioni locali di procedere alla tutela dei propri beni storico-artistici e l’impossibilità per lo Stato di garantire i fondi necessari alla loro conservazione. Questa incapacità condizionò pesantemente il progetto di conservazione di un patrimonio immenso e bisognoso di cura continua. Al contempo fece emergere la crescente attenzione da parte delle municipalità prima, della società civile poi, per la salvaguardia delle testimonianze della propria storia. Fierezza civica e vantaggio collettivo furono fondamentali per potenziare interventi di recupero e di valorizzazione. Ma alimentarono anche il contrasto tra coloro che a livello centrale e periferico operavano nel settore. Le commissioni conservatrici provinciali, gli ispettori ai monumenti e agli scavi (in questo caso Botti) reclamavano un’autonomia d’azione spesso negata dai responsabili nazionali. L’accusa di dilettantismo e scarsa professionalità indirizzata agli operatori locali rivelava il desiderio e la necessità dello Stato di elevare gli standard scientifici, uniformando la pratica della tutela secondo norme omogenee in tutto il territorio. Ne derivavano conflitti che nel settore del restauro contrapponevano non solo tecniche diverse, ma anche saperi radicati nelle istituzioni locali, ad esempio le accademie di belle arti, e saperi sviluppati al di fuori e in contrapposizione a peculiari tradizioni. La competizione persisteva grazie all’assenza di una legislazione di tutela, emanata solo nel 1909 e causa di ulteriori questioni di non facile soluzione.
La scelta di procedere per singoli casi garantisce la centralità dell’opera d’arte nelle dinamiche e pratiche della tutela: in questo senso, risulta particolarmente felice l’inserimento di un apparato iconografico che restituisce visualmente la natura e i caratteri dell’oggetto di ricerca. Al tempo stesso, però, questa scelta impedisce una lettura complessiva del significato degli interventi, spesso letti in una chiave documentaristica che frammenta l’analisi privilegiando la descrizione. Il lavoro offre comunque un esempio della ricchezza e complessità di un mondo che, a partire da fine ‘800, produsse idee, modelli, interventi di cui tuttora apprezziamo l’importanza e il valore.

Simona Troilo