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Maria Malatesta (a cura di) – Atlante delle professioni – 2009

Maria Malatesta (a cura di)
Bologna, Bononia University Press, 379 pp., Euro 50,00

Anno di pubblicazione: 2009

Maria Malatesta ha curato, con il contributo di 63 autori diversi, un bell’Atlante delle professioni intellettuali. Perché un atlante? Per raccontare la storia con le carte, per visualizzare il «senso sociale dello spazio».Fra i molti motivi per cui il libro si fa apprezzare ne sottolineerò tre, assieme ad una sorpresa finale. 1) La molteplicità delle rappresentazioni (da cui un’apparente frammentarietà) e la dovizia di tabelle, grafici e figure ne fanno un volume da tenere in biblioteca, prezioso sia per chi faccia di mestiere ricerca o tenga un corso sulle professioni, sia per il lettore colto che voglia ogni tanto «piluccare» un argomento su una professione o un’altra. 2) Il secondo pregio sta nell’enfatizzazione del rapporto fra professioni ed università. L’università non è un accidente del destino con cui le professioni, chissà perché, si incrocino, ma è il luogo della loro formazione. Per dirla con Freidson, all’interno di ogni professione vi soni tre strati e i docenti-ricercatori universitari costituiscono quello cui è affidato, «istituzionalmente», il compito di produrre e rinnovare il corpus di conoscenze teoriche di riferimento. 3) Il volume fornisce qualche evidenza empirica in più per risolvere l’annoso interrogativo se il «professionalismo» costituisca una forma di chiusura sociale esclusiva monopolistica o denoti, al contrario, una «comunità» caratterizzata dalla dedizione verso il proprio lavoro e da un orientamento altruistico.L’atlante è utile perché non generalizza, ma declina il quesito per epoche storiche e per professioni. Così, se ci appaiono sorprendenti i dati relativi alla partecipazione dei professionisti nel loro complesso al Risorgimento o alla schedatura come «sovversivi» o antifascisti o alla loro adesione alla Resistenza, ancora più interessanti sembrano le differenze fra una professione e l’altra. Mentre la partecipazione dei medici ai moti di rinnovamento, fin dalla fase «eroica» del giacobinismo italiano, è più convinta e si spiega con le ricadute che le idee della Rivoluzione francese ebbero anche sul piano strettamente professionale, quella degli avvocati, invece, risulta maggiormente episodica, assestata su posizioni più spesso monarchiche che repubblicane e orientata prevalentemente a soluzioni moderate.Una postilla. Nell’analizzare ceti e professioni in antico regime si fa riferimento alla «categoria di professionalizzazione, tratta dalla sociologia funzionale (?) di Weber e Parsons» (p. 94). Mettere in un sol calderone Weber e Parsons, cui risalgono le posizioni contrapposte indicate al punto 3, non appare opportuno. Inoltre, se funzionale sta per funzionalista, nulla quaestio per Parsons, ma fare di Weber il campione del funzionalismo, soprattutto per uno storico, è un po’ eccessivo.Il volume si conclude con un viaggio nelle professioni attraverso le immagini, da cui affiora il modo in cui l’immaginario collettivo ha strutturato, nelle diverse epoche, le diverse professioni. Il lettore si sente come lo spettatore di Nuovo cinema Paradiso, quando alla fine rimane inchiodato alla sedia davanti ai fotogrammi più belli ed espressivi (i baci) di film che hanno fatto la storia del cinema. Qui forse non si commuove, ma lo ooh di stupore è assicurato.

Lorenzo Speranza