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Maria Pia Casalena, Biografie. La scrittura delle vite in Italia tra politica, società e cultura (1796-1915)

Maria Pia Casalena
Milano, Bruno Mondadori, 376 pp., € 28,00

Anno di pubblicazione: 2012

Dice bene il sottotitolo di questa preziosa ricerca: la scrittura; sottinteso, gli scrittori
meno; e meno ancora gli scritti. Per forza: Maria Pia Casalena calcola che, fra 1800 e
1915, le biografie stampate in Italia siano state 8000; ne sceglie come campione 140. Poche su 8000, troppe rispetto alla possibilità di analizzarle una per una come testi. Il fuoco
del lavoro sta in effetti altrove. I suoi veri testi non sono i testi, ma i cataloghi e i repertori.
Quel che è stato stampato, quando, dove, da chi, presso chi, con quali esiti editoriali; i
luoghi degli autori e degli editori. E dunque, numeri, percentuali, grafici, mappe, date:
il volume ne è ampiamente corredato, non come materiale allegato, ma come approccio
e linguaggio suo proprio. La griglia concettuale in cui mostra di organizzare il discorso
l’Indice – accattivante e coerente alle presenti dinamiche degli studi di storia culturale – è
e non è appropriata. Fa proprio voglia di leggerli i sei corposi capitoli dai bei titoli – Diverse Italie, Suggestioni dall’estero, Gli autori, Il ritratto della nazione, Memoria e politica,
Declinazioni di genere – strutturati in paragrafi altrettanto allettanti. In realtà, sarebbe
stato forse più arido, ma probabilmente più confacente alla natura del lavoro esplicitarne
e valorizzarne la natura di ricco e sostanzioso panorama di storia dell’editoria – già di per
sé un approccio significativo e specifico –, animato all’interno e senza forzature da un’attenzione precipua alla storia delle donne, in quanto oggetto e soggetto di queste Vite: per
quanto è possibile, considerata la desolante percentuale del 3% di autrici sul totale dei
biografi di oltre un secolo (1800-1915, pp. 320-322).
Emergono dall’insieme due grandi sottoinsiemi biografici, che corrispondono a due
mondi paralleli: un «parallelismo» particolare, visto che l’agiografia cattolica, le vite dei
santi, influenzano e vengono ricalcate nell’universo ottocentesco dei precursori e dei martiri della Nazione. Martire,come per altro verso esule, diventano figure precipue in una
costruzione del soggetto collettivo – l’Italia –, del suo passato, delle sue potenzialità e
attese, basato molto sulla privazione. «Eroismo del talento» (p. 163), non meno, e anzi
spesso in luogo dell’eroismo guerriero e politico: il che allarga il quadro dei precursori e
mallevadori del Risorgimento, ma al tempo stesso intride di incompletezza quelle vite
di grandi individualità sbilanciate, senza adeguato contesto: «profeti disarmati» (p. 179)
dell’italianità (cfr. 4,4 Il genio italico e 4,5Le vite di Dante). Gran parte del volume si
muove però non tra i precursori, ma nel vivo dell’800, pre e post-unitario. Casalena, oltre
rassegne e letture 52
che il doppio itinerario, patriottico e religioso, deve governare anche periodizzazioni e
tipologie interne al disfarsi, farsi, rifarsi – e come farsi, e come essersi fatta – della penisola. Tutto questo, dal punto di vista della biografia: di chi scrive la vita di chi, e quando e
come. E delle vite che non vengono scritte, o che vengono reinterpretate. L’impressione
che l’a. comunica è che di rado i fatti siano la prima preoccupazione dei biografi. Più che
storia, fanno politica. Era stata già illustrata l’ondata agiografica che segue la morte di
Vittorio Emanuele. Qui «sotto la ferrea egida della Destra storica» (p. 248) si assiste, in
particolare dopo il 1861, a una politica della memoria che vuole erigere un Pantheon giocato in gran parte sulle esclusioni. È imbarazzante riscoprire come liquidano un Mazzini
(12 sole opere su di lui sfuggono all’embargo, fra 1861 e 1915, p. 26). O come la destra
e la sinistra redenta «“addomesticano” l’immagine di Garibaldi» (p. 252), consentendone
così un numero maggiore (68). Un suo ex-segretario, Guerzoni, conia per uno dei suoi
biografati un’immagine che va oltre il Garibaldi «rivoluzionario disciplinato» : Bixio – osserva compiaciuto nel 1875 – è un «rivoluzionario governativo» (p. 291).
E uno dei problemi interpretativi aperto dal libro può essere questo. I numeri conducono l’a. ad attestare la «ferrea» regìa dei neo-conservatori post-1861: hanno vinto
nei rapporti di forza effettuali, e ancora pretendono e riescono a «vincere» nel racconto
dell’accaduto. Ecco allora una bella differenza rispetto a quanto accade con un altro mutamento di regime, dopo il 1945. Le forze che hanno lottato contro il fascismo vengono politicamente sconfitte, ma non per questo perdono sul piano della memoria e della
storia. Anzi, i moderati governano, le sinistre fanno cultura. Qui le riflessioni innescate da Biografie inducono a pensare che una condizione primaria nel rendere possibile
quella «ferrea egida» della destra sull’autocoscienza dell’accaduto risieda, non solo negli
aristocratici piemontesi che continuano la politica con altri mezzi, ma nella finzione, nei
recitativi e nei falsetti con cui così tanti ex vanno in cerca di condono per ciò che hanno
pensato o fatto da giovani. E però si può pensare che i numeri delle biografie approdate
alla pubblicazione – valicando la censura sociale e editoriale – non siano fonte e criterio
bastevoli. Autobiografie e carteggi, scritture cioè più private, non potrebbero rovesciare
la dimensione pubblica, però esistono e possono reclamare un loro peso specifico, al di
là dei numeri. Jessie White Mario è una sola, ma conta e pesa più di uno. Il Poema autobiografico di Garibaldi è inedito, ma è stato pensato e scritto. Certo, si potrebbe dire che
la «ferrea egida» della Destra nell’inventarsi la propria tradizione e spegnere quelle altrui,
lasciate magari orfane, si manifesti anche e più arcignamente in questa forza: «silenziare»
Garibaldi e ciò che pensa di Aspromonte. Ma, allora, il capolavoro sul controllo delle vite
è costringere Mazzini a chiamarsi Brown.

Mario Isnenghi