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Maria Pia Casalena – Per lo Stato, per la Nazione. I congressi degli scienziati in Francia e in Italia (1830-1914) – 2007

Maria Pia Casalena
Roma, Carocci, 253 pp., Euro 19,50

Anno di pubblicazione: 2007

Ricco di fatti e nomi, di grafici e tabelle, il volume si apre con una introduzione al significato di quei «luoghi nuovi della scienza ottocentesca» (p. 12) che furono i congressi degli scienziati, figli (ma talvolta anche progenitori) di associazioni per il progresso delle scienze a spiccata vocazione civile. A darne il primo esempio fu, nel 1815, la Svizzera, seguita da Germania (1822), Gran Bretagna (1831), Francia (1833), Italia e Scandinavia (1839), Ungheria (1841), Polonia (1863) ?, per non dire degli Stati Uniti e del Canada, dell’India, dell’Australia e del Sudafrica. Di questo vivace arcipelago l’a. tiene costantemente conto: ma il focus della ricerca è, appunto, sui «congressi degli scienziati in Francia e in Italia», analizzati attraverso una intelligente ricognizione della letteratura e della documentazione, in un’ottica di serrata attenzione critica ai miti e agli stereotipi che si sono venuti depositando sulle due realtà a partire dalla percezione che ne ebbero protagonisti e opinionisti del tempo, e dell’immagine che gli uni e gli altri erano interessati a tramandarne.I due «casi» presi in esame non potrebbero essere più diversi. Parlare del movimento francese dei congressi scientifici, cioè del Congrès scientifique de France e dell’Institut des Provinces, significa evocare personaggi e ambienti dall’insistita connotazione «veterocetuale» (p. 52), antiparigina e antirivoluzionaria, convinti di essere i depositari della France réelle e impegnati a valorizzarne memorie e virtù. In Italia, invece, i segmenti di intellettualità operosa che attraverso il «movimento dei congressi» si proponevano come «rappresentanti di fatto, e auspicabilmente di diritto, del genio e della volontà generale» (p. 177) lo facevano in nome di un progresso vissuto e propagandato come obbligo morale e civico di chiunque avesse a cuore il «risorgimento della nazione» e le sorti della patria, piccola o grande che fosse.L’acme del movimento coincise, in tutti e due i casi, con gli anni ’40, quando ogni congresso vide convergere nelle città in cui si svolgeva parecchie centinaia di partecipanti, protagonisti di una domanda di socialità culturale dalla nitida valenza politica. Ma le analogie finiscono qui. Diverse le ragioni della promozione e le modalità dell’organizzazione, diverso il bacino di interesse e di coinvolgimento di professionisti e amatori: tanto centralizzato e sostanzialmente monocorde il movimento francese quanto sfaccettato e plastico quello italiano, pronto a mutare volto e orientamento col mutare dei luoghi e dei tempi. Quanto al post-’48, le due storie si divaricano a tal punto – «imperiale» e clericaleggiante l’una, laica e attratta da una accentuata professionalizzazione l’altra – da mettere a dura prova ogni velleità comparativa: con un movimento italiano attratto soprattutto da quel che accadeva in Inghilterra e in Germania, e un movimento francese troppo prigioniero delle tensioni e delle ossessioni nazionali per potersi proporre come un modello degno di questo nome.

Simonetta Soldani