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Maria Serena Piretti – La legge truffa. Il fallimento dell’ingegneria politica – 2003

Maria Serena Piretti
Bologna, Il Mulino, pp. 254, euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2003

Nonostante un sottotitolo che ammicca all’attualità, questo saggio muove dall’intento, più che legittimo ed esattamente opposto, di combattere le mitologie che sul tema si sono esercitate: quella più antica della sconfitta della reazione ad opera delle masse popolari e quella più recente della glorificazione di De Gasperi in chiave di preveggente e anticipatore bipolarismo. E ci riesce egregiamente.
Da un lato, infatti, l’autrice ? sulla scorta dei fondamentali studi di Riccardi ? chiarisce bene il peso delle ipoteche vaticane (molto più importanti di quelle statunitensi) che premono per l’applicazione all’Italia di un modello ?parafranchista? di liquidazione del pericolo comunista. Rispetto alla ricerca di Carla Rodotà, invecchiata e introvabile, mi pare che la novità sia rappresentata dall’illustrazione dei casi concreti di convergenza tra DC e destre che si verificano alle elezioni amministrative del 1952 (pp. 26 ss.): casi sporadici che sottolineano il carattere non isolato né straordinario dell’?operazione Sturzo? e quindi sottolineano il grado di penetrazione di quelle ipoteche esterne in seno alla DC e la conseguente pesante minaccia per De Gasperi. D’altra parte, l’autrice si diffonde ? questa l’altra fondamentale novità del libro ? sui particolari della tempestiva e silenziosa abrogazione di una legge che, pur non essendo scattata per pochissimi voti, non lascia rimpianti in nessun gruppo parlamentare: segno evidente della strumentalità contingente e disperata con cui il presidente del Consiglio era ricorso a questo tentativo estremo di ingegneria elettorale. Il fallimento della ?legge truffa? sancisce la fine sia del centrismo come modulo di governo sia dell’avventura politica di De Gasperi. Anche se quasi un decennio ci vorrà per approdare a quell’apertura a sinistra di cui, però, fin dall’indomani delle elezioni del 1953 si comincia a parlare non solo a Roma ma anche a Washington e a Mosca. L’assenza di una concezione della democrazia come alternanza al governo si conferma come il tratto saliente delle culture politiche che compongono la Repubblica italiana nella guerra fredda. Sia De Gasperi (p. 69) sia Moro (p. 86) esplicitano la convinzione che tale alternanza possa realizzarsi solo attraverso la centralità della DC: conditio sine qua non della politica italiana, cui peraltro anche il Togliatti della svolta di Salerno e il Berlinguer del compromesso storico rendono ossequio.
Alcuni errori di dettaglio ? Mario Gozzini non è mai stato deputato DC (p. 51 n. 11), Tempi di ferro è di Antonio e non di Franco Cardini (p. 149 n. 79), Bilenchi non è l’autore degli atti del convegno sul «Nuovo Corriere» curati da F. Bagatti et al. (p. 149 n. 80) ? non diminuiscono il valore dell’opera. Una sottoutilizzazione della letteratura più recente sul PCI avrebbe focalizzato meglio gli effetti della battaglia ostruzionistica nei termini politici del rilancio di Secchia nel gruppo dirigente (fino all’affaire Seniga dell’anno successivo) piuttosto che su quelli più romanzeschi di apparati militari clandestini enfatizzati da alcune fonti di polizia (ma ridimensionati da altre fonti dello stesso genere e dalle corrispondenze del Dipartimento di Stato USA).

Giovanni Gozzini