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Mario Siragusa – Baroni e briganti. Classi dirigenti e mafia nella Sicilia del latifondo (1861-1950), prefazione di Rosario Mangiameli – 2004

Mario Siragusa
Milano, Franco Angeli, pp. 202, euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2004

Attraverso questa raccolta di propri saggi, dei quali tre inediti, Siragusa ripropone un tema centrale nella storia della Sicilia contemporanea, ossia quel rapporto strutturale tra uso della violenza, criminalità organizzata e classi dirigenti che, per altro, come rileva più volte l’autore, affonda le sue radici più profonde nell’età moderna. L’analisi si concentra sull’area circoscritta delle Madonie, territorio dominato dal latifondo e punto d’osservazione privilegiato per episodi e momenti fondamentali di cui sono stati protagonisti il banditismo locale tra la fine dell’800 e l’immediato secondo dopoguerra e l’intervento repressivo di Mori durante il fascismo.
L’organico coinvolgimento di élites sociali e politiche nel fenomeno mafioso che risulta dal volume spiega la tenuta e la capacità totalizzante nei confronti dell’economia e della società locale da parte di un sistema di potere che si fonda su un intreccio complesso tra illegalità e poteri legali. I risultati migliori della ricerca emergono dalla descrizione della trasversalità sociale che prevale nell’organizzazione della rete mafiosa e delle annesse opportunità di ascesa sociale che promuovono, accanto ai baroni, ceti borghesi o di nuova nobiltà e premiano anche elementi di ceti più bassi, grazie ai loro servizi di manovalanza. Come osserva Mangiameli nella prefazione, possono intersecarsi per tale via due modelli di mobilità sociale, uno più ?classista?, l’altro ?fazionario?, legato allo scontro tra le famiglie possidenti per il controllo del territorio.
Di conseguenza secondo una tesi già avanzata da altri e che l’autore condivide, le varie forme di brigantaggio o banditismo, almeno per quest’area della Sicilia interna, non sono separabili dalla mafia, della quale anzi costituiscono un’articolazione, identificabile secondo alcuni con il termine ?bassa mafia?. Sarebbe proprio quest’ultimo livello ad essere ?sacrificato? alla giustizia in alcuni passaggi storici, quali l’operazione del prefetto Mori, in occasione della rilegittimazione di ceti dirigenti e alti livelli mafiosi concordata con lo Stato o con suoi apparati.
Sul tema specifico dei rapporti tra mafia e politica in età liberale, oggetto di un capitolo a parte, ne esce confermato quel reticolo di connivenze e complicità delle articolazioni periferiche statali, la penetrazione delle cosche all’interno delle istituzioni e dei partiti locali, in forme politicamente trasversali, rintracciabile ad esempio nei comitati interclassisti e sicilianisti. A noi sembra tuttavia che l’autore in questo caso ceda alla tentazione di generalizzare a tutta la Sicilia metodi, strutture e caratteristiche riscontrati nel territorio studiato e che meriterebbero invece ulteriori approfondimenti in particolare in merito all’età giolittiana, per la quale sarebbe auspicabile il superamento della riproposizione pura e semplice del ?ministro della malavita?.
Nel suo insieme, il volume offre una ricostruzione aggiornata che rappresenta un utile contributo alla verifica delle recenti interpretazioni storiografiche sulle origini della mafia e sulla sua capacità di radicamento sociale e territoriale.

Giovanni Schininà