Cerca

Mario Siragusa – Napoleone Colajanni. I Florio e i Notabili della «profonda Sicilia» (1897-1913) – 2007

Mario Siragusa
Prefazione di Giuseppe Carlo Marino, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Edit

Anno di pubblicazione: 2007

Segmento della tesi di dottorato dall’a., le centosettantacinque pagine che Mario Siragusa dedica ad una analisi delle vicende elettorali in tre collegi siciliani (Petralia e Cefalù nelle Madonie e Castrogiovanni nell’interno) si propongono di far luce sull’ambigua dialettica tra la piccola politica, con le sue coorti di «galoppini e maneggioni» di gramsciana memoria, e la politica grande, di respiro nazionale, che vide proprio a Castrogiovanni (oggi Enna) un esponente di spicco nel deputato, studioso e pubblicista Napoleone Colajanni. Del quale sono ben note le battaglie parlamentari e la celebrata oratoria contro corrotti e corruttori, i lucidi contributi al dibattito sul federalismo a fianco di Salvemini e Ciccotti, la polemica contro la supposta inferiorità morale dei meridionali «razza maledetta», le analisi sulla mafia; mentre nulla o quasi nulla si sapeva del tessuto politico locale sul quale fu basata una così brillante e lunga carriera.Tutta la prima parte del lavoro di Siragusa ruota intorno all’enigma (che forse enigma non è) di un Napoleone Colajanni radicale ed «estremo»; ma sostenuto in maniera corale nella sua Castrogiovanni, di cui per più di un ventennio risulta il rappresentante quasi senza competitori, nel ruolo di paterno e illuminato mediatore tra le istanze del mondo degli zolfatari e quelle dei proprietari e conduttori di miniere. Tuttavia è la Palermo dei primi anni del secolo – nutrita di rancore e frustrazione per i nuovi equilibri politici che rischiano di penalizzarla anche economicamente, percossa dall’incredibile eco dell’assassinio di Notarbartolo (l’affaire Dreyfus alla rovescia che offrì il carburante della vittimizzazione per la ripresa del sicilianismo in grande stile) – il luogo dov’è possibile trovare l’altro ingrediente mediante cui l’a. si sforza di collegare la periferia col «centro». Aggiungendo l’influenza indiretta di un gruppo imprenditoriale di una certa consistenza – quello dei Florio – il menu è completo: «la riscoperta dei legami tra politica e affari». Al classico (o recentissimo?) tema dei «comitati d’affari» sarà così possibile imputare «il moderatismo di certi leaders e parlamentari radicali e socialisti e la mancata costituzione di un polo popolare politicamente alternativo agli interessi forti nella Sicilia dell’età liberale» (p. 22).La dimensione locale di questa ricerca è molto faticosa, e faticosa riesce a tratti anche la lettura. Colpisce lo sforzo di una ricostruzione molto dettagliata, ma anche la straordinaria uniformità: una politica immobile, schiacciata sugli interessi del «blocco agrario». La costante ripetizione di termini molto approssimativi, quanto netti e perentori – blocco agrario, blocco agrario-industriale – rischia di riportare la minuziosa indagine microanalitica a spiegazioni precostituite e piuttosto indeterminate ed a categorie che non trovano adeguato riscontro nella corrente letteratura storica e sociologica. Il gioco simbolico dei brokers politici fu tutto riducibile agli interessi economici e alla «scommessa» dei gruppi imprenditoriali?

Luciano Granozzi