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Mary Gibson – Born to crime. Cesare Lombroso and the Origin of Biological Criminology – 2002

Mary Gibson
Westport, Conn.-London, Praeger, pp. 272, s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2002

Ciò che distingue Lombroso dai suoi oppositori francesi di fine Ottocento ? Topinard, Tarde e Manouvrier ? sarebbe stata più una questione di enfasi che di sostanza, conclude l’autrice riprendendo un giudizio di Laurent Mucchielli. Nell’etiologia del crimine, gli italiani sottolineavano le cause biologiche, ma non ignoravano l’influenza della povertà, dell’educazione, dei vari condizionamenti sociali e neppure gli aspetti psicologici. Si pensi a Ferri, a Patrizi a tanti altri (ma tutti lombrosiani? l’esercizio professionale dell’antropologia criminale non corrispose ad un unico orientamento). Al di là del titolo, il libro dovrebbe spingere a ricordare che a Lombroso premevano anche i tanti ?delinquenti d’occasione?, distinti appunto dai ?criminali nati?, e che teorizzare tale distinzione significava sia porre il rapporto tra comportamenti individuali devianti e società, sia proporre la prevenzione.
Il pendolo tra biologico e sociale si riflette nella varia recezione dell’antropologia criminale in paesi diversi, cui la Gibson dedica le conclusioni; segna l’uso pubblico in età liberale e fascista di quelle teorie, sorte tra studiosi di simpatie socialiste ? questione che giustamente arrovella l’autrice ?; ne attraversa il successivo sviluppo scientifico fino al costituzionalismo (cap. 6). E riguarda anche quanto la storiografia è andata cercando nel lombrosismo. Il problema sta nell’uscire dalle oscillatorie e poco fruttuose valutazioni che hanno caratterizzato la ?fortuna’ di Lombroso, specie se vituperato, e che hanno reso prevedibile fino all’inutilità una storiografia (di stampo militante) sulle tesi più rinomate: l’inferiorità della donna, per es. di cui molto la Gibson si è occupata (qui nel cap. 2) o l’inferiorità delle razze (cap. 3).
L’autrice sa bene di muoversi su un terreno vischioso e perciò ben sottolinea ogni contraddizione dell’antropologia criminale italiana: con la pratica, con le idee politiche, con le vicende biografiche del fondatore (che non ideò però tutte le teorie e credenze a lui attribuite). Proprio l’aver rilevato tante contraddizioni nella dottrina criminologica (specie cap. 1) e nel Codice Penale del 1889, l’ha spinta a studiarne le realizzazioni (capp. 4-6) e alla sua attuale ricerca sul funzionamento del sistema giudiziario penale al femminile (vedi ?Storica?, n. 16, 2000). Le contraddizioni però non sono solo incoerenze, né solo ineriscono al passaggio dalla teoria alla prassi. E meriterebbe analizzarle in quanto sintomatiche e funzionali, cariche di significati e di conseguenze importanti.
Si tenga conto che il libro è scritto anzitutto per una readership americana, alla quale l’autrice segnala le carenze di quanti leggono al posto de L’uomo delinquente l’imparagonabile Criminal Man summarised by Gina Lombroso Ferrero (1911). Della storiografia italiana, alle cui lacune la Gibson da sempre ci richiama, direi sarebbe utile considerare il molto che è stato fatto sul positivismo (e sul neoidealismo) da svariati e purtroppo incomunicanti settori disciplinari, per contestualizzare Lombroso e i criminologi in modo ampio e articolato, come lei stessa propone.

Patrizia Guarnieri